Le strisce delle zebre hanno sempre messo in crisi gli scienziati. Quelle linee bianche e nere, così regolari e fitte, non hanno equivalenti nel mondo dei mammiferi.
Perché nessun altro mammifero ha una colorazione simile? Tutte le altre livree paragonabili – dalle linee verticali della tigre alle chiazze del leopardo, fino al raffinato disegno geometrico della giraffa reticolata – sono utili a nascondere l’animale tra la vegetazione fitta e hanno toni bruni o gialli, molto neutri. Per molto tempo si è quindi creduto che le linee regolari delle zebre rendessero la sagoma dell’animale più difficile da riconoscere nell’erba alta.
Ma questi erbivori frequentano gli spazi aperti, brucando l’erba a livello del terreno, dove una colorazione omogenea sarebbe più indicata.
La regolarità e l’abbondanza delle strisce, inoltre, non si addice a una “colorazione disruptiva”, che spezza cioè la sagoma dell’animale, ma è più affine invece alle livree di avvertimento di molti artropodi e pesci, spesso dotati di pungiglioni o carni tossiche.
Le zebre, però, sono ottime da mangiare e non hanno nessun particolare sistema offensivo, neppure le corna. La loro migliore difesa è la fuga; solo se sono messe alle strette possono calciare e mordere.
Si è ipotizzato che l’insieme di linee in continuo movimento di un branco di zebre in fuga finissero con il confondere i carnivori, come i leoni, rendendo più difficile a questi predatori individuare un elemento singolo da attaccare nella massa. Non è semplice da dimostrare scientificamente questa ipotesi, ma non sembra neppure che i leoni abbiano particolari difficoltà nella cattura delle zebre.
Dunque, a cosa è legato l’aspetto delle zebre?
Negli ultimi anni sono emerse spiegazioni più sofisticate, che vedono le strisce come la chiave di un sistema di regolazione della temperatura: le bande chiaro-scure molto ravvicinate darebbero vita a microscopiche correnti d’aria sulla pelle dell’animale (l’aria sale sul nero più caldo e si abbassa sul bianco, più fresco), contribuendo a raffreddare gli animali nelle savane assolate. Ma alla prova del “nove”, realizzata con appositi modelli, non si è riscontrato nessun abbassamento delle temperature superficiali.
Gli studi più recenti dell’Università della California e di quella svedese di Lund ci raccontano che le strisce avrebbero soprattutto un’altra funzione: rendono questi erbivori meno interessanti agli occhi dei tafani e, in particolare, delle mosche tse-tse. Si è, infatti, osservato che l’areale di distribuzione delle zebre si sovrappone a quello di questi sgradevoli insetti succhiatori di sangue, per i quali tali erbivori sono una preda ideale, a causa del loro manto non troppo spesso, concepito per difendersi dal caldo.
Le prove sperimentali sul campo hanno dimostrato che modelli di cavallo a strisce bianche e nere ravvicinate risultano essere meno attrattivi per i tafani rispetto ai cavalli con livree chiare e scure. Resta da capire il perché di questa curiosa preferenza… Sappiamo che questi insetti sono in grado di vedere la luce polarizzata riflessa e sembra che l’alternarsi delle strisce bianche e nere disturbi il segnale visivo, rendendo meno interessante la zebra.
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