Mi svegliò di soprassalto il vento che sibilava fra gli spiragli delle finestre e faceva vibrare i vetri. L’orologio sul comodino della camera della clinica veterinaria segnava un paio di minuti alle cinque del mattino. Mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo perché avrei potuto dormire ancora un’oretta prima di alzarmi e andare nel reparto degenza dagli animali ricoverati per il primo turno visite. Mi guardai intorno ed ero circondato da una fitta penombra. Mi ricordavo di aver lasciato accesa la luce in sala da pranzo dopo la conversazione di ieri sera con la mia collega Novella, però adesso la camera era immersa in un’oscurità bluastra. Probabilmente Novella, prima di raggranellare qualche ora di sonno, si era ricordata di spegnere la luce al contrario di me, che mi addormentai come un sasso.
Dopo essere andato in bagno, tornai in camera con l’intenzione di coricarmi ancora un po’ a letto. Ovviamente, come dice la legge di Murphy – se qualcosa può andare storto, lo farà -, suonò il citofono della clinica. Dissi a Novella di rimanere a letto e che se avessi avuto bisogno, l’avrei chiamata nel caso.
Aprii la porta e mi trovai di fronte un signore sulla quarantina, biondastro e con l’aspetto di chi non ha chiuso occhio tutta notte. Era accompagnato da un simpatico labrador che annusava ogni cosa che incontrava lungo il suo tragitto.
Il cliente mi spiegò che Lucky, cosi si chiamava il cane, aveva iniziato a vomitare dalla sera prima e il vomito sembrava non avesse intenzione di smettere. Gli dissi subito che come prima cosa, dopo una visita clinica, era necessario fare una radiografia all’addome per cercare di capire l’origine di questo vomito. In sala raggi diedi al cliente le protezioni da indossare. Quando mi voltai, trovai Lucky disteso sul tavolo del radiologico e coperto dal grembiule per la protezione dai Raggi X. Guardai sorpreso il proprietario, il quale mi rispose: «Ah, ma pensavo dovessi farla io la lastra!».
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