Il Green deal, l’ambizioso piano dell’Ue per diventare neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050, è messo a dura prova. Con lo slogan “La fine del mese arriva prima della fine del mondo”, di cui occorre riconoscere lo spirito sardonico, si sta infatti diffondendo la convinzione che le politiche ambientali europee porteranno alla rovina il vecchio continente.
La retromarcia dell’Ue su agricoltura e pesticidi
La bruciante sconfitta elettorale in Olanda di Frans Timmermans, a suo tempo incaricato del Green deal da Ursula von der Leyen, secondo alcuni osservatori ha innescato un processo di ammorbidimento. E la recente marcia indietro della presidente della Commissione Ue, che ha ritirato la sua stessa proposta di taglio dei pesticidi e affossato il piano per un’agricoltura più verde, sarebbe uno degli indizi più evidenti.
Ci sono ragioni elettorali dietro la scelta, ma il timore che ancora una volta le questioni ambientali possano scivolare nelle retrovie è alto. È già accaduto tante altre volte in passato, potrebbe succedere di nuovo.
Una economia che gira nel senso giusto
Gli oppositori della svolta green seguitano a sostenere che certe decisioni dell’Ue, come il bando dei motori a combustione interna dal 2035 e il divieto di caldaie a gas, indeboliscono le nostre economie e favoriscono altri paesi, Cina in testa.
La situazione mostra aspetti paradossali. Uno su tutti: le filiere necessarie alle tecnologie chiave di decarbonizzazione sono concentrate al di fuori del nostro continente europeo, principalmente proprio in Cina. Nonostante l’industria del Dragone sia conosciuta nel mondo per l’alto consumo di carbone, in realtà negli ultimi anni è diventata una delle più virtuose in termini di utilizzo di energie come il solare e l’eolico, oltre che nello sviluppo di veicoli elettrici.
In effetti per vincere la paura di non arrivare alla fine del mese bisogna “far girare” l’economia, ma nel senso giusto. Altrimenti il mondo prima o poi ci presenterà il conto e ci sarà poco da ridere.
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