A differenza dei classici vulcani a forma di cono, i Campi Flegrei sono caratterizzati da numerosi crateri di varia dimensione, bassi e oblati, innestati in strutture ben più ampie che disegnano un’apertura a ferro di cavallo verso il mare. Oggi quest’area ospita circa 1.5 milioni di persone dislocate tra vari comuni e le propaggini occidentali della città di Napoli: qui non si è costruito vicino al vulcano, ma proprio dentro e ciò rende i Campi Flegrei uno dei vulcani attivi più a rischio del Pianeta.
Un interessante studio appena pubblicato su Science Advances da un team di ricercatori guidati da Francesca Forni, ricercatrice post-doc dell’Università Nanyang di Singapore, che ha condotto lo studio presso l’ETH di Zurigo, ha permesso di comprendere meglio l’evoluzione del sistema magmatico del vulcano napoletano.
Verso una nuova eruzione
Combinando informazioni petrologiche e geochimiche di rocce e minerali prodotti da 23 eruzioni diverse, è stato possibile ricostruire lo spettro delle temperature ed il contenuto in acqua del magma, ottenendo una fotografia dell’evoluzione magmatica del sistema negli ultimi 60,000 anni. Combinando i risultati petrologici con un modello termomeccanico, è stato inoltre possibile comprendere come il sistema sia passato da periodi caratterizzati da piccole e frequenti eruzioni a imponenti eventi esplosivi che hanno prodotto le caldere (l’eruzione dell’Ignimbrite Campana, ~39mila anni fa, e l’eruzione del Tufo Giallo Napoletano, ~15mila anni fa). Inoltre, secondo gli autori dello studio, i magmi evoluti che hanno alimentato l’eruzione dell’ultimo evento eruttivo ai Campi Flegrei, ovvero l’eruzione del Monte Nuovo nel 1538, sarebbero simili a quelli che hanno alimentato l’attività pre-calderica e le fasi iniziali delle eruzioni caldera-forming. In altre parole i risultati indicano che oggi al di sotto dei Campi Flegrei si sta accumulando una grande quantità di magma che potrebbe prima o poi provocare –in un imprecisato futuro– un’eruzione di grande entità.
Vivere in un vulcano attivo
Dopo l’eruzione del 1538, i Campi Flegrei sono entrati in una fase di quiescenza scandita da almeno tre episodi di “crisi”, durante i quali si sono registrati sciami sismici superficiali ed un aumento dell’attività fumarolica. Questi episodi sarebbero legati al trasferimento di fluidi magmatici da un serbatoio profondo (situato a circa 8 km di profondità nella crosta) al sistema idrotermale superficiale (circa 3 km). Movimenti profondi che si traducono in superficie con l’afflusso (e il deflusso) di gas magmatici negli acquiferi flegrei: un fenomeno che, secondo un altro recente studio, sarebbe alla base del famoso bradisismo, il movimento ascendente o discendente del suolo, spesso accompagnato da micro-terremoti, che interessa tutta la zona del golfo di Pozzuoli, da Capo Miseno fino a Posillipo. Proprio in questi giorni il sollevamento del suolo ha ripreso a farsi sentire dalla popolazione ed è costantemente monitorato dall’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Niente paura, ordinaria amministrazione vulcanica nella straordinaria città costruita dentro il vulcano.
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