Come ho già scritto in passato le città non sono certo il mio habitat ideale, solitamente preferisco la natura, gli orizzonti lontani e gli spazi aperti. Poi ci sono le eccezioni e Cape Town (Città del Capo) è una di quelle.
Frequento questa città da molti anni, da quando nel 2008 la feci diventare la base di partenza del mio girovagare in Africa australe. Non conto più le volte che ho percorso la strada che unisce centro città ad Hout Bay. È qui che si trova la stravagante casa di Marco, il generoso amico italo-sudafricano sempre pronto a offrirmi una delle sue camere. Più volte ci siamo confidati e confrontati, condividendo sia le nostre storie personali che i racconti di viaggio in quelle terre, dai quali emergevano puntualmente gioie e dolori.
L’Africa ha la capacità di trasmettere emozioni inimmaginabili, ma è sempre pronta a chiederti qualcosa in cambio e questo lo sa bene chi l’ha conosciuta come viaggiatore e non solo come turista.
In passato non mi ero mai fermato per fotografare Cape Town. Avevo percorso ogni sua via andando in cerca di negozi e uffici, spesso per risolvere questioni burocratiche relative ai visti e ai documenti della mia auto. Ero stato nei migliori ristoranti, nelle gallerie d’arte più famose e mi ero anche concesso del tempo per partecipare alla vita mondana, fatta di inaugurazioni, eventi e serate tra amici, quasi sempre di origine italiana.
Ma ancor più spesso avevo frequentato le officine di Cape Town dove mi recavo costantemente per attrezzare e riparare il mio fuoristrada in previsione delle tante partenze. Per quanto io ami questa città, so bene che non potrei mai viverci. Non riesco proprio a immaginare i miei weekend costantemente rinchiuso in un giardino circondato da filo elettrificato e guardie armate. È questa la realtà di una parte degli abitanti di Cape Town.
L’alternativa molto spesso è la povertà, le township, i ragazzi che muoiono cadendo dai pali della luce mentre tentano di collegare un cavo per portarsi clandestinamente la corrente elettrica in casa. E così i più benestanti vivono nel loro agio, imprigionati tra muri che garantiscono ogni sicurezza e col terrore costante che presto gli venga portato via tutto. Gli “altri” invece si godono la loro totale libertà il cui prezzo è una vita spesso al limite della sopravvivenza.
Venni ritenuto un pazzo dai miei amici italiani e sudafricani, quando scoprirono che avevo oltrepassato i confini di Mandela Park (township a sud di Cape Town) e avevo girovagato con le macchine fotografiche al collo. Per poter entrare avevo parcheggiato il mio fuoristrada al posto di polizia adiacente la baraccopoli per poi dirigermi verso il cancello d’entrata e attendere che qualcosa accadesse. Era domenica pomeriggio e c’era molto movimento lungo i marciapiedi. Qualcuno mi guardava un po’ stupito, altri si dimostravano totalmente indifferenti, molti mi sorridevano o ridevano.
Un uomo si fermò e mi chiese cosa stessi facendo. Gli dissi che avrei voluto visitare Mandela Park. Mi disse che non c’era problema, mi avrebbe potuto accompagnare lui senza chiedermi alcun compenso. Il primo luogo che visitammo fu la chiesa. Mi presentò al sacerdote che a sua volta mi mostrò le attività che stava gestendo per far allontanare i giovani dalla strada. Si disse felice di ricevere la visita di uno straniero e di poter dire ai suoi ragazzi che Mandela Park può accogliere anche i turisti.
Poi ci dirigemmo verso la casa della mia improvvisata guida dove ci avrebbero accolti la moglie e i figli. Lungo il cammino incrociai gli sguardi di sfida di alcuni ragazzi che oziavano dentro le loro auto arrugginite. La musica usciva dalle casse a volume assordante facendo vibrare ogni cosa. Oltrepassato un piccolo cortiletto con alcune galline entrammo in casa. Mi fecero sedere e mi offrirono da bere. Parlammo del mio Paese d’origine e della vita a Cape Town.
Infine mi riaccompagnarono al parcheggio della centrale di polizia dove ci salutammo con la promessa di incontrarci nuovamente un giorno. Salii in auto cosciente del fatto che se fossi stato solo non mi sarei aggirato tra quelle vie con tanta disinvoltura.
La sera stessa andai al supermercato insieme alla mia vicina di casa. Dopo aver posato alcuni prodotti nel carrello mi resi conto di aver scordato del latte che si trovava nei frigoriferi vicino all’entrata. Abbandonai il carrello e quando, dopo pochi secondi, lo recuperai, incontrai la mia amica che mi attendeva con sguardo severo e preoccupato. Le chiesi cosa fosse accaduto. Rispose chiedendomi per quale ragione avessi lasciato incustodito il carrello. Le dissi del latte e lei controbatté che è molto pericoloso allontanarsi da un carrello al supermercato perché l’avrebbero potuto rubare. Le feci notare che non avevo ancora pagato nulla, quindi cosa avrebbero potuto rubare?
Mi rispose che non era quello il punto e che comunque a Cape Town rubano qualsiasi cosa, sempre e indistintamente. Lasciai cadere l’argomento. L’episodio non fece altro che confermare lo stato d’ansia e le fobie che attanagliano una parte degli abitanti di Cape Town.
Per fotografare la città ho scelto Signal Hill, la collina a sud dal centro. È dal 1806 che i cannoni, portati dagli olandesi, ricordano alla città l’inizio di eventi e manifestazioni, oltre a scandire quotidianamente il mezzogiorno.
Il panorama è straordinario, soprattutto con l’approssimarsi del tramonto. Le case colorate del quartiere malese di Bo Kaap dissonano dai palazzi lineari e squadrati del centro. I grattacieli sembrano soffocare, schiacciati dalla maestosità della Table Mountain, che a sua volta continua a cedere i suoi spazi all’avanzata del cemento. Nonostante gli evidenti contrasti l’insieme si presenta in totale armonia, almeno nell’estetica, mentre per la sua anima, tormentata dalle disuguaglianze sociali, il traguardo sembra essere ancora lontano.
Il momento dello scatto
Come punto di ripresa avevo individuato Signal Hill osservando la città dal porto. È uno dei luoghi accessibili più elevati della città e offre un’ottima esposizione della Table Mountain al tramonto. Parcheggiai l’auto e iniziai a percorrere i sentieri che si snodano nel bosco in cerca di un varco tra la vegetazione che mi permettesse di osservare la città. Purtroppo l’esito non fu positivo: le piante erano troppo fitte e alte. Tornai al parcheggio e scesi seguendo la strada fino a un piccolo piazzale che avevo individuato in precedenza, ma risultava troppo basso per riprendere ciò che mi interessava. Risalii al parcheggio principale e guardai il pilone dei ripetitori che si eleva di una ventina di metri dalla cima della collina. Cercai il custode, al quale avevo dato in precedenza una generosa mancia perché avesse un occhio di riguardo per il mio fuoristrada. Gli chiesi se secondo lui avrei potuto scavalcare la recinzione dell’impianto e salire sul pilone. Mi rispose semplicemente che a quell’ora nessuno sarebbe più entrato a controllare, raccomandandomi di fare attenzione. Le forti folate di vento che facevano ondeggiare la struttura mi rendevano molto instabile. Mi assicurai con una mano alla balaustrata che arrivava giusto all’altezza della mia vita.
Quindi impostai i settaggi della mia macchina fotografica: modo di esposizione manuale per evitare che i parametri potessero variare in base all’inquadratura e all’intensità della luce, diaframma f 13 per avere buona profondità di campo e infine, a causa delle folate di vento che mi facevano ondeggiare e del fatto che avrei impugnato la macchina fotografica con una sola mano, decisi di dare all’otturatore un tempo di scatto decisamente rapido, quindi optai per 1/200 di secondo. Ne conseguì una sensibilità del sensore di 500 ISO. Allargai quindi le gambe per sentirmi più stabile, poi con la mano destra afferrai la macchina fotografica appesa al collo e scattai una decina di foto, fino a coprire un raggio di 180° sulla città. Le immagini le composi successivamente in post produzione in un’unica fotografia panoramica.
Dati tecnici
- Data: 05/07/2012
- Corpo macchina: Nikon D2x
- Obiettivo: Nikkor 17/55 f 2,8
- Lunghezza focale al momento dello scatto: 35 mm
- Apertura diaframma: F 13
- Tempo otturatore: 1/200 sec.
- Compensazione esposizione: 0
- Sensibilità sensore: ISO 500
- Modo di ripresa: M (Manuale)
VIAGGI FOTOGRAFICI di Davide Pianezze: