Il 17% delle proteine consumate ogni giorno dalla popolazione mondiale derivano dal pescato. Il mercato ittico ha un giro d’affari enorme – lo scorso anno ha generato introiti per 135 miliardi di dollari – e impiega circa un decimo della forza lavoro dell’intero Pianeta.
Ma cosa c’è dietro al pesce che finisce sulle nostre tavole e che, sempre più spesso, arriva da molto lontano?
Il settore della pesca ha un lato oscuro nascosto ai più, che cela enormi sfruttamenti, sia a livello ambientale che umano.
Lavoro minorile, traffico di essere umani, pesca pirata e conflitti per le zone in cui pescare sono solo alcune delle piaghe che affliggono questo settore e che ledono i diritti umani.
Per dire basta a queste moderne forme di sfruttamento e schiavitù si è speso anche il Vaticano che, in occasione della Giornata Mondiale delle Pesca – in programma il prossimo 21 novembre – ha deciso di fare appello ai Paesi e alle organizzazioni di categoria coinvolte per chiedere di regolamentare il settore, al fine di promuovere i diritti umani e garantire un lavoro dignitoso per gli addetti di un comparto tanto importante a livello globale.
Inoltre, congiuntamente con la Fao – l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura – verrà organizzato un evento, sempre il 21 novembre, per discutere di questi problemi e cercare di raggiungere una comune soluzione.
Passi e avanti e nodi da sciogliere
Sebbene siano già stati compiuti importanti progressi a livello nazionale e internazionale per promuovere la sostenibilità della pesca e combattere i problemi dello sfruttamento, tanta strada resta ancora da fare.
Le misure di protezione del lavoro rimangono spesso inadeguate o inapplicate.
E così, un settore che potenzialmente potrebbe offrire tante opportunità per le comunità costiere finisce spesso con il rendere vittime i soggetti più vulnerabili della società.
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