L’atmosfera del Sole è chiamata corona. È costituita da un gas elettricamente carico, il cosiddetto plasma, e ha una temperatura di circa un milione di gradi Celsius. La sua temperatura è un mistero per gli scienziati, perché è più calda della superficie del Sole, che è di 6000 gradi.
La corona dovrebbe essere più fredda della superficie perché l’energia del Sole proviene dalle reazioni di fusione nucleare che avvengono nelle sue regioni centrali e la temperatura diminuisce progressivamente via via che ci si allontana da esse. Eppure la corona è più di 150 volte più calda della superficie. Come è possibile?
Un team internazionale a guida INAF, a cui partecipano anche ricercatori dell’Università di Firenze, Agenzia Spaziale Italiana e Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha gettato nuova luce su questo enigma cosmico che dura ormai da parecchi decenni.
Due sonde per misurazioni incrociate
Da tempo si sospetta che la turbolenza nell’atmosfera solare possa provocare un riscaldamento significativo del plasma nella corona. Ma per studiare questo fenomeno, è impossibile raccogliere tutti i dati necessari con un solo veicolo spaziale. Pertanto sono stati necessari due veicoli spaziali, Solar Orbiter e Parker Solar Probe della NASA.
Così, Daniele Telloni, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) a Torino, e il suo team hanno iniziato a cercare date e orari in cui Parker Solar Probe si sarebbe trovato nella giusta posizione per realizzare osservazioni congiunte con Solar Orbiter.
A bordo di Solar Orbiter c’è lo strumento Metis, un coronografo progettato da Istituto Nazionale di Astrofisica, Università di Firenze, Università di Padova, Cnr-Ifn, e realizzato dall’Agenzia Spaziale Italiana, che ha fotografato con elevato contrasto e livello di dettaglio la corona.
Con complicate e rischiose procedure di navigazione, le due sonde si sono trovate nella configurazione prevista ed è stato così possibile effettuare le prime misurazioni simultanee della configurazione su larga scala della corona solare e delle proprietà microfisiche del plasma che lo compone.
Confrontando i dati misurati con le previsioni teoriche sviluppate nel corso degli anni, il team ha dimostrato che i fisici solari avevano quasi certamente ragione nell’identificare la turbolenza come un modo efficiente per trasferire energia dalla superficie del Sole agli strati più esterni della sua atmosfera.
I risultati dello studio “Coronal Heating Rate in the Slow Solar Wind” sono stati pubblicati in un articolo sulla rivista The Astrophysical Journal Letters.
«Questo lavoro è il risultato del contributo di moltissime persone e per coordinarlo servivano competenze sia sull’ambiente coronale che eliosferico» spiega Daniele Telloni.
«Questo è solo l’ultimo di una serie di importanti risultati ottenuti grazie ai dati acquisiti da Metis e dimostra quanto sia utile poter combinare dati simultanei di remote sensing e misure in-situ del vento solare, consentendo di studiare processi fisici come quelli legati al riscaldamento coronale su tutte le scale spaziali di interesse» dichiara Marco Stangalini, ricercatore e responsabile di programma ASI della missione Solar Orbiter.
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