È recente la scoperta che sull’intero Pianeta possono essere rimasti poco più di 25 mila gufi delle nevi, una popolazione davvero esigua che dovrebbe farci riflettere sulla fragilità di molti ecosistemi.
Infatti, il drammatico scioglimento delle calotte polari – un fenomeno che accelera e che pare inarrestabile, almeno nel breve periodo – sta profondamente alterando l’habitat di questa specie, simbolo delle regioni artiche. Paradossalmente, grazie alla notorietà conferitagli dalle storie di Harry Potter, il gufo delle nevi è sempre più richiesto come “pet” ed è tra le specie di rapaci notturni che vengono legalmente commercializzate, poiché nate in cattività (quindi in regola con il CITES che controlla il traffico illegale animali).
Ci si domanda se, insieme agli orsi polari, i gufi delle nevi che vivono ancora in Natura saranno condannati all’estinzione o se ci sarà una risposta evolutiva da parte di questi animali.
Ne parliamo (*) con il Professor Peter Wadhams dell’Università di Cambridge, la voce più autorevole a livello mondiale in tema di scioglimento dei ghiacci che per primo, diversi decenni fa, lanciò l’allarme sulla perdita di massa delle calotte polari.
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Professor Wadhams, cosa pensa del fatto che una specie così iconica come il Gufo delle nevi corra il rischio di estinguersi e contemporaneamente sia divenuto oggi un “pet” al pari di un gatto?
Peter Wadhams – «In Inghilterra abbiamo un detto: “Un uccello tenuto in gabbia manda in collera tutta la Natura”.
Come accade per altre specie selvatiche in via di estinzione, è veramente negativo che il numero di questi animali si sia ridotto al punto che la maggior parte della popolazione rimanente sia quella allevata in cattività e venga utilizzata come animale domestico. Non possono più volare liberamente e non possono sviluppare istinti e metodi di caccia apprendendoli dai loro genitori. Il gufo delle nevi non è ancora giunto a questo punto, ma il suo habitat si sta costantemente riducendo a causa dell’insediamento umano e delle attività industriali che si stanno sviluppando in Alaska, nel Canada artico, nella Svezia settentrionale e in Norvegia. Inoltre, sembra che la popolazione dei lemming (il loro cibo) dipenda dal tipo di neve che si crea in inverno. A causa del riscaldamento globale, la neve bagnata e quasi sciolta rende loro difficile la costruzione delle tane».
Il Gufo delle nevi ha perso a partire dagli anni ’70 almeno l’80% della sua popolazione mondiale, il cui areale è legato al Circolo Polare Artico. Qual è la sua opinione sulla fauna artica in questo momento e sul suo futuro?
P.W. – «L’attuale sostenibilità della fauna artica si basa su un semplice fatto: cioè se un animale è dipendente o meno dal ghiaccio marino. Dato che il ghiaccio marino sta scomparendo dall’Artico, quelle specie che possono sopravvivere solo con il ghiaccio marino stanno scomparendo.
Un caso inequivocabile è quello dell’orso polare, che ha assoluto bisogno di un ambiente di ghiaccio marino, specialmente quando esce dal letargo invernale, al fine di cacciare foche e allevare i suoi piccoli. Gli orsi polari non riescono a nuotare per lunghe distanze e sono gravemente colpiti da un ambiente in cui il ghiaccio marino è spezzato e circondato da mare aperto.
Dall’essere una specie diffusa in tutto l’Artico, è probabile che gli orsi polari si ridurranno a vivere in quelle piccole aree dove le coste hanno un ghiaccio marino costante in inverno, ad esempio in Groenlandia settentrionale e nell’isola di Ellesmere. Altrove l’orso polare scomparirà oppure, a quanto sembra, si evolverà tornando indietro, verso ciò che era una volta, e inizierà ad accoppiarsi con orsi bruni o con orsi grizzly, sulla terraferma.
Come ho già detto, il destino del gufo delle nevi nell’Artico dipende dal continuo successo riproduttivo dei lemming. Per altre specie, il loro futuro è condizionato da fattori quali i cambiamenti che si stanno verificando nelle specie marine perché le acque si stanno riscaldando. Ciò colpisce il plancton e i pesci e, di conseguenza, le specie più grandi che dipendono da questi, come le balene, i narvali, le foche e, su scala minore, gli uccelli marini.
È troppo presto per dire se le specie chiave stiano scomparendo, o aumentando, o vengano sostituite da nuove specie.
Lungo le coste della Groenlandia occidentale c’è una pesca prolifica che produce il 90% delle entrate della Groenlandia attraverso le esportazioni. Le principali specie pescate sono gamberetti, gamberi, merluzzo, halibut e salmone. Per le specie dominanti sarebbe molto facile mutare, a causa dei cambiamenti nel plancton o nel tipo di massa d’acqua presso la costa».
(*) Intervista di Marco Mastrorilli tratta dal libro “Il Volo rapito”
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