La campagna contro i grandi concerti nel Parco di Monza – il più grande parco urbano cintato d’Europa: così definizione ormai consolidata da decenni – ha connotazioni che vanno oltre la semplice e mera difesa di un prato storico. Proprio così: storico, secondo accezione non sempre di immediata presa. La doppia esibizione di Ligabue sul Prato della Gerascia – tra i più degni del complesso Parco e Villa Reale di Monza – ha concluso un’estate, quella del 2016, che ha visto la superficie verde citata vilipesa come non mai in 200 anni di storia: diversi concerti per migliaia di spettatori tra giugno e settembre.
Stiamo parlando di un Prato storico, appunto, inserito in un Parco storico, bene ambientale, culturale, architettonico e naturalistico di grande pregio. Il naturalista aggiunge che trattasi di prato stabile, ovvero sottoposto ad un processo – legato al regolare sfalcio – durato decenni. Notazioni da botanici affermano che nel territorio brianzolo ecosistemi di questo tipo arrivano ad ospitare fino a 30-40 specie di piante erbacee. E ad esse si collega una significativa comunità di viventi.
Le foto parlano chiaro. Il bel prato ridotto a deserto. Mentre la vicina superficie a verde del Roccolo, non toccata da eventi di massa, conserva il proprio stato usuale. “Tanto l’erba ricresce”, chiosano in non pochi. Va spiegato che una ripresa definitiva richiederà, ahinoi, tempo. E risorse economiche ed umane. Ma il punto non è questo. Perché – sottolineano in tanti, e non solo noi del Comitato per il Parco – utilizzare in maniera irrispettosa il nostro gioiello verde? Perché sottoporre ad usi incompatibili un monumento prezioso e, per molti versi, unico? Nessuno si sognerebbe di utilizzare per concerti di massa (da 100mila spettatori) i prati di Versailles o Piazza dei Miracoli a Pisa. Gli amministratori pubblici di Monza, e con loro la Sovrintendenza locale e la stessa Regione, non han mostrato nessuno scrupolo, anche di fronte a perizie di un professionista, peraltro pagato dai volontari del citato Comitato per il Parco.
Milioni di euro per chi si esibiva sul palco, nessuna ricaduta per le casse pubbliche. Gli unici a guadagnare, quelli della SIAS, società che gestisce l’autodromo. Già, l’autodromo: il circuito versa da tempo in acque non propriamente tranquille. Tanto che ingenti fondi pubblici saranno stanziati per pagare la federazione internazionale e garantire il Gran Premio a Monza. Considerati questi aspetti, il disegno si completa. Già nel passato si erano avuti concerti di massa nel Parco di Monza, con le inevitabili conseguenze dannose. Ma si era trattato di eventi estemporanei, mai di una stagione intera. E si palesano orizzonti preoccupanti: più raggruppamenti politici, di tanti colori, e altri soggetti parlano del Parco trasformato in area concerti e altre amenità. E c’è chi si spinge fino a volerne fare scenario olimpico. Un’area da sfruttare e riempire; un Parco dell’800, disegnato quale sintesi del paesaggio dell’epoca, trasformato in Disneyland. Per fare gli interessi economici di pochi. La campagna dell’ambientalismo monzese e non solo assume tratti di grande significato: la difesa di un bene di valore mondiale, e non solo di una superficie a prato.
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