Se qualcuno vi parlasse di macromaniaci, cosa pensereste? No, non abbiate timore, non è alcunché di pericoloso. Si tratta soltanto di fotografi subacquei amanti delle foto macro con cui immortalano soggetti grandi a volte pochi millimetri, cui dedicano “cacce” accanite sul fondo del mare. A questi macromaniaci, che a maggio si sono dati convegno al Fisherman Cove di Puerto Galera, nelle Filippine, per affinare le loro arti sotto la guida di esperti maestri, devo la storia di questa settimana, dedicata al polpo dei cocchi (Amphioctopus marginatus).
Far di necessità… un rifugio
Questo polpo è diventato famoso una decina di anni fa quando la sua abitudine di fare la tana nelle noci di cocco spaccate e buttate in mare divenne, come si direbbe oggi nella lingua dei gruppi sociali, virale. In realtà questa capacità del polpo di usare i mezzi cocchi come rifugio, al posto delle conchiglie dei bivalvi era una notizia vecchia, almeno nel mondo degli zoologi. Quegli stessi zoologi che tornarono sull’argomento per discutere se il polpo fosse, oppure no, capace di usare uno strumento per soddisfare una propria esigenza.
Ha imparato nelle conchiglie
La questione non è stata risolta e ci sono sostenitori di entrambe le tesi, ma a noi qui ed ora poco importa. Ciò che ci piace e ammiriamo è la capacità di questi polpi, sin da piccoli, di sfruttare ciò che trovano sul fondo per abitarci e chiudersi dentro in caso di pericolo.
Nella foto in apertura, scattata da Giancarlo Mazarese, avete visto un polpo dei cocchi amante delle tradizioni. Un tempo, infatti, le tane di questi polpi “utensilieri”, come sono stati definiti, erano costituite da conchiglie, ma poi queste sono diventate sempre più rare per via della pesca e, quindi, i polpi hanno dovuto fare di necessità virtù e hanno cominciato a utilizzare le mezze noci di cocco che l’uomo forniva in quantità. In fondo, le due metà di una noce di cocco si possono paragonare alle valve di un bivalve e, anche se non sono altrettanto belle, servono egregiamente allo scopo.
Camera con vista
Ciò che meraviglia è nella foto qui sopra, questa volta scattata da Emilio Mancuso, biologo macromaniaco e molto altro. Lo scatto che immortala il piccolo polpo dentro un barattolo di vetro suggerisce una serie di riflessioni. La più semplice è la capacità del polpo di utilizzare oggetti scartati dall’uomo per i propri scopi. Ma sapendo che i polpi hanno un’ottima vista e che, in esperimenti controllati, hanno imparato a fare delle cose guardando cosa accadeva nell’acquario del vicino, è possibile ipotizzare che il barattolo di vetro sia stata, da parte dell’esemplare che vi si è stabilito, una scelta non casuale e vincente. L’entrata è facilmente difendibile, attraverso il vetro si può vedere cosa accade e poi si tratta di un materiale del tutto sicuro.
Se il polpo ha imparato a utilizzare un manufatto umano, ne consegue che il mare ci può insegnare molto in tema di riciclo. Tutto può avere una seconda vita. Proviamoci anche noi e non affidiamoci al mare solo per smaltire i nostri rifiuti.
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