Da tempo si punta a riportare in vita animali che non esistono più. Per ridare vigore alla biodiversità ma soprattutto per vedere cosa accadrebbe in presenza di specie magari estinte da migliaia di anni.
Di fatto proprio qui sta il punto. Per molti ambientalisti è un’operazione controversa, che se anche la scienza ci permettesse di assolvere, non sarebbe degna di essere affrontata: perché gli animali di un tempo probabilmente, se avessero la possibilità di scegliere, non avrebbero nessuna voglia di svegliarsi in un mondo che non gli appartiene più.
Peraltro, non avrebbe senso per molti studiosi far partorire a specie affini individui che non li rispecchiano.
A che punto siamo? La ricerca va comunque avanti e una delle specie che si sta tentando di riportare in vita è quella del piccione migratore. Estinto nel 1914, Ben Novak della McMaster University a Hamilton, in Ontario, ha isolato il suo dna e intende ora “miscelarlo” con quello di una specie simile che abita le regioni selvagge dell’America settentrionale.
Diverrebbe un piccolo Frankenstein che per la prima volta sorvolerà i cieli statunitensi. Vedremo.
Più avanti la ricerca sullo stambecco dei Pirenei. Scomparso nel 2000, nel 2009 un cucciolo clonato è sopravvissuto per pochi minuti: la comparsa di gravi problemi respiratori non gli ha lasciato scampo.
Per la rana meridionale dalla cova gastrica, in grado di trasformare lo stomaco in utero, non ci sono stati risultati soddisfacenti. Il suo DNA è stato introdotto nelle uova di rane affini, ma girini non se ne sono ancora visti.
Eclatante il caso del mammut. Ogni anno si sente parlare di qualche “scienziato pazzo” pronto a ridargli il respiro. La verità è assai più prosaica. Si tratta di impiantare il genoma del pachiderma pleistocenico nell’ovulo di un’elefantessa; di fatto, però, nessuno si è ancora assunto questa responsabilità.
L’unica cosa certa è che la salvaguardia di una specie dovrebbe partire dal momento in cui esistono ancora individui allo stadio brado.
In tal caso i test risultano più attendibili ed efficaci. E’ il caso della clonazione del muflone europeo, clonato nel 2001 e protetto così dall’estinzione; destino simile a quello riservato al furetto dai piedi neri e dal bufalo asiatico.
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