Un microscopio e via. Basta questo per andare alla scoperta della vita in una goccia di mare, un’immersione che non ha nulla da invidiare alle discese sott’acqua con maschera e pinne.
Le immagini che arricchiscono e illeggiadriscono questa pagina sono opera di Domenico Roscigno, subacqueo appassionato e professore di fotografia, e le protagoniste sono microscopiche alghe unicellulari che rispondono al nome di diatomee, abitanti dei mari, ma anche delle acque dolci.
La bellezza e il fascino delle diatomee risiedono nel loro guscio, come aveva notato anche Charles Darwin che, nel suo famoso testo L’evoluzione delle specie, scriveva: «Pochi oggetti sono più belli dei minutissimi gusci silicei delle diatomee; furono essi forse creati per essere esaminati ed ammirati con un microscopio a forte ingrandimento?».
Tecnicamente il guscio delle diatomee è chiamato frustolo ed è formato da due valve di silice che si incastrano una nell’altra formando una scatolina finemente perforata.
La precisione della struttura è tale – e stiamo parlando di organismi le cui dimensioni si misurano in milionesimi di metro – che in passato, così ricordava un mio professore di zoologia durante le esercitazioni di microscopia, la famosa ditta Zeiss si serviva di appositi vetrini con diatomee per verificare la qualità dei suoi strumenti ottici.
La foto contiene diatomee di varie specie, ma anche una rapida occhiata consente a un profano di notare come prevalgano due tipi di forme corrispondenti ad altrettanti ordini:
- le Centrales, circolari, ovali, triangolari o quadrate;
- le Pennales, ellittiche, a bastoncello o a navetta.
Le prime fanno parte del plancton vegetale e vivono sospese nella colonna d’acqua mentre le seconde vivono a contatto del fondo.
Il ruolo delle diatomee nell’ecosistema
Ma oltre a essere geometriche e a deliziarci con le loro forme (e sul rapporto tra geometria e bellezza ci sarebbe molto da dire) a cosa servono le diatomee?
Come microalghe hanno un ruolo chiave nell’ecosistema marino. Infatti, sono fonte di ossigeno e cibo per i consumatori erbivori, in particolare i crostacei copepodi, ai quali, evidentemente, la presenza di gusci silicei non disturba il palato.
Apparentemente indifese, a parte quel guscio duro, le diatomee sembrerebbero destinate a fare solo da pasto e, invece, si è scoperto che possono produrre composti tossici antipredatori che agiscono in modo insospettato. Infatti, non respingono i copepodi né li avvelenano, ma si accontentano di ridurne le capacità riproduttive e quindi, abbassandone il numero, diminuiscono la pressione di pascolo di questi erbivori.
Oltre a tali importanti funzioni per l’equilibrio degli oceani, le diatomee hanno anche altre insospettate applicazioni. Sono state usate per collegare i criminali al luogo del delitto, per determinare il punto esatto di un annegamento e, in archeologia, per risalire alle fonti dell’argilla di antichi vasi. Sono poi impiegate per la raffinazione dello zucchero, nella produzione dei dentifrici, in quella dei mattoni leggeri e come isolanti.
Insomma, le diatomee sono tra noi. Ma niente paura. Dopo tutto siamo uomini o copepodi?