Leggi qui la prima parte della serie di articoli dedicati a imparare a “leggere” i segni della natura attorno a noi, per tornare a comprendere cosa ci racconta un determinato territorio attraverso presenze, forme e dimensioni di animali e piante.
Tutte le piante, sia erbacee, sia arbustive che arboree, ci possono dare utili informazioni per comprendere meglio l’ambiente e il territorio in cui ci troviamo in loro compagnia.
Imparare a dialogare con un albero e riconoscerne linguaggio e le modalità di comunicazione non è ne semplice ne immediato, soprattutto per chi vive ormai lontano da boschi e campagne. Inoltre non si tratta solo di riconoscere i segnali, diretti ed indiretti, che le piante trasmettono all’esterno; bisogna imparare anche ad ascoltare e a “vedere”, che è assai diverso dal semplice guardare.
Tuttavia con un minimo di metodo, con il tempo, la pazienza e l’applicazione è possibile farlo davvero per chiunque (ne parleremo più approfonditamente in un altro specifico capitolo), con una certa maggior facilità per i bambini, forse grazie alla loro migliore intuizione e spontaneo spirito di osservazione.
Quando ci si avvicina a un albero (e a maggior ragione a un bosco) con l’intenzione di dialogare con esso, bisognerebbe non solo avere un approccio di massimo e delicato rispetto (e, che ci crediate o no, le piante questo lo avvertono), ma anche cercare di svuotare la mente da altri pensieri, attivando al massimo i nostri sensi fisici ma anche le nostre capacita percettive più sottili (ovvero l’immaginazione, l’intuizione e l’ispirazione).
E poi cominciare ad osservare la nostra pianta non solo partendo da “altezza occhi” e salendo in alto verso la chioma, come di solito siamo portati a fare, ma cominciando la nostra indagine/dialogo partendo dai “piedi”, ovvero dalle radici e dalla base del tronco.
Infatti, quel che sta sotto terra o che emerge solo in parte ci può raccontare molto non solo della pianta in questione, ma anche di ciò che sta avvenendo attorno ad essa.
In particolare sugli alberi isolati è più facile osservare gli effetti del sole, del meteo, del suolo ed anche di eventuali influenze antropiche, come il pascolo o l’inquinamento.
Per esempio lo sviluppo asimmetrico delle radici, con l’emersione parziale di alcune di esse, ci raccontano di come è strutturato il sottosuolo, se è compatto o addirittura con presenza di rocce sottostanti (o magari di manufatti sepolti) o se è al contrario più morbido.
Ci dicono se il terreno è stabile o in movimento, se è acido o basico e, assieme all’inclinazione del tronco, ci raccontano anche della direzione dei venti dominanti o della presenza di ristagni d’acqua sottostanti.
Attraverso le radici gli alberi non solo comunicano tra loro, ma addirittura si scambiano sostanze nutritive, con gli alberi più grandi e forti che possono arrivare a sostenere quelli più giovani e malati. Si è visto che un grande faggio in un bosco è in connessione, tramite le radici e le sue ife fungine simbionti, anche con una quarantina di altri alberi “fratelli”.
Tra l’altro L’immagine che si ha delle radici spesso la si associa a quella della chioma, ma in realtà ciò avviene di rado e soprattutto cambia con l’avanzare dell’età. Se in fase giovanile molti alberi, anche quelli che non hanno una radice a fittone, si sviluppano verso il basso, una volta che hanno raggiunto la profondità giusta per un solido ancoraggio tenderanno poi ad espandersi soprattutto in larghezza, alla ricerca di nutrimento. Anche per questo le radici, come detto, sono solitamente asimmetriche e si espandono con maggior lunghezza e spessore sui lati più esposti a sollecitazioni esterne (es. vento e neve), oltre che nelle zone più ricche di sostanze nutritizie.
Ciò lo possiamo vedere molto bene nel punto del cosiddetto “colletto”, ovvero dove il tronco sta per finire ed entrare nella terra. Ciò non avviene come una sorta di palo della luce piantato nel suolo, ma appunto con un punto di passaggio, dove sembra quasi che la terra si innalzi avvolgendo il legno. Qui la sezione delle radici si può fare triangolare, come una sorta di contrafforte, per migliorare l’ancoraggio del tronco al suolo nel caso di terreni sabbiosi o saturi d’acqua, come si può osservare ad esempio in molti alberi tropicali ma anche nei nostri pioppi o nelle farnie, quando la falda è superficiale.
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