Quanta acqua è necessaria per produrre il cibo che ogni giorno consumiamo sulla nostra tavola? Ogni prodotto alimentare possiede una propria impronta idrica che, secondo una definizione fornita dal WWF, è il volume totale di acqua dolce impiegato lungo l’intera catena di produzione per ottenere il bene stesso.
L’acqua che si cela dietro ogni alimento è un’acqua a noi invisibile e, in quanto tale, spesso la trascuriamo o non la teniamo in considerazione. Eppure, come consumatori, il nostro ruolo nel consumo di acqua è essenziale ed estremamente potente.
L’acqua a nostra disposizione
Il 97,5% dell’acqua presente sul pianeta è salata. Il restante 2,5% è acqua dolce, di cui il 69,5% è intrappolato nei ghiacciai, nella neve e nel permafrost. Il 30% è situato in profondità nelle falde acquifere e, il rimanente 0,4%, è presente come acqua superficiale e atmosferica. Meno dell’1% del totale è quindi direttamente utilizzabile dall’uomo.
La Water One World Solutions sottolinea che ci troviamo in una situazione di crisi idrica globale che non fa che peggiorare; più di un miliardo di persone non avrebbe infatti accesso ad acqua potabile. Se l’attuale trend non dovesse cambiare, entro il 2025 due persone su tre saranno colpite da penuria idrica.
Produzione animale intensiva e acqua
Come afferma il Professore Arjen Y. Hoekstra, autore del libro Water footprint of modern consumer society, «l’impronta idrica di qualsiasi prodotto animale è superiore a quella di una coltura alternativa dal valore nutrizionale equivalente».
Il Worldwatch Institute e numerose altre organizzazioni, quali il Water Footprint Network, sostengono che per produrre un chilo di carne di manzo sono necessari mediamente circa 15.000 litri di acqua. Per un chilo di carne di maiale la stima è di 4800 litri di acqua, per un chilo di carne di pollame è di 3700 litri, per un chilo di uova ci vogliono 3333 litri di acqua e, per il latte, un litro di prodotto equivalgono a 1000 litri di acqua.
Nel libro Food choice and sustainability del Dottor Richard Oppenlander, ricercatore ed esperto di impatto ambientale, si legge che una mucca da latte da allevamento intensivo arriva a bere fino a 170 litri di acqua al giorno, mentre durante il periodo di asciutta un massimo di 113,5 litri. Nei sistemi estensivi, o nei pascoli, in cui gli animali hanno maggiore possibilità di movimento e, sono quindi fisicamente più attivi, il consumo di acqua sarebbe maggiore, sostiene Guy Saperstein, ex presidente del Sierra Club Foundation.
Consideriamo ora l’impronta idrica di alcuni cibi vegetali comuni: i ricercatori Mekonnen e Hoekstra ci dicono che per produrre un chilo di pomodori sono necessari 200 litri, un chilo di lattuga equivale a 237 litri, per un chilo di patate sono necessari 287 litri, per un chilo di fagioli di soia 1800 litri, un chilo di pane in media prevede l’utilizzo di 1608 litri, un chilo di pasta 1849 litri, per un chilo di tofu servono 2030 litri e un chilo di riso ne consuma 2497.
Da quanto emerge da un report di Mekonnen e Hoekstra per UNESCO, dal 20 al 33% dell’acqua dolce mondiale sarebbe assorbita dall’industria zootecnica per produrre carne e derivati animali, conteggiando nel calcolo anche le fasi di lavaggio, trasporto, lavorazione e confezionamento del prodotto finito. Il WWF spiega che per nutrire il bestiame sono necessarie ingenti quantità di mangime la cui produzione richiede enormi volumi di acqua. Il volume di acqua consumata a livello mondiale per la produzione di mangimi ammonterebbe al 98% del totale.
Visualizzare i consumi
Il consumo di acqua per la produzione di prodotti alimentari animali è elevata, ma utilizziamo alcuni esempi per rendere meglio l’idea. L’Environmental Protection Agency sostiene che siano necessari 2500 litri di acqua per produrre un hamburger da 113,4 grammi il che, secondo l’autore di Cowspiracy Kip Andersen, equivale a farsi una doccia per due mesi interi. In linea con l’autore, Richard Oppenlander precisa che mangiare un chilo di carne bovina consumerebbe più acqua di quella necessaria per farsi una doccia al giorno per un anno intero.
Studi del Water Footprint Assessment riportano che l’assenza di prodotti di origine animale dalla dieta occidentale porterebbe a un risparmio giornaliero di circa 4.163 litri di acqua per persona.
La situazione in Italia
Nel report del WWF del 2014 sui consumi idrici del nostro paese, leggiamo che l’89% dell’ impronta idrica giornaliera degli italiani è legata al cibo, mentre i consumi domestici rappresentano solo il 4% e, il restante 7%, è impiegato per usi industriali. Ricordiamo che l’impronta idrica esterna dell’Italia è del 60,7%, il che fornisce un indice della dipendenza del nostro paese da acque estere per il consumo di merci importate. Di questa percentuale, l’85% è imputabile alla produzione agricola e alle attività di pascolo e zootecnia. Quasi il 50% dell’impronta idrica del consumo italiano deriva dai prodotti di origine animale quali carne, latte, uova e grassi animali. Dai grafici forniti dallo studio osserviamo che il consumo di carne contribuisce da solo a un terzo dell’impronta idrica totale dell’Italia. L’organizzazione precisa che, oltre al consistente consumo di acqua proveniente da corpi idrici superficiali e falde sotterranee per la produzione di prodotti di origine animale, sono necessari grandi volumi di acqua per diluire gli inquinanti generati dagli allevamenti intensivi.
Il potere del consumatore
Quando i media ci parlano di consumo idrico fanno solitamente riferimento a quello domestico. Ci suggeriscono di fare docce più brevi, di non lasciare il rubinetto aperto mentre ci laviamo i denti o, come suggerisce Al Gore nel documentario Una scomoda verità, di dotare i nostri rubinetti di dispositivi per il risparmio idrico. Ma come mai al cittadino non arriva il messaggio che la scelta alimentare è una tra i principali responsabili del consumo di risorse idriche? Non solo il messaggio viene del tutto omesso al pubblico, ma sembra addirittura che gli sforzi per celarlo siano sempre più ricercati. Il profitto delle multinazionali della carne e dei prodotti animali è spesso indicato come la causa su cui si radica la disinformazione in questo settore, eppure, con una minima ricerca sul web, le fonti per una corretta informazione sono disponibili a tutti. La conoscenza è l’arma più potente che, come consumatori, disponiamo per ridurre il sovra sfruttamento delle risorse idriche.
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