La rivoluzionaria (in origine) proposta di legge europea sul ripristino della natura, la Nature Restoration Law, sarà discussa dal Parlamento Europeo il prossimo 12 luglio, ma la sua struttura o addirittura la sua stessa approvazione finale è in bilico, a causa del miope ostracismo di alcuni gruppi parlamentari al servizio delle potenti lobbies di settore (agrobusiness in primis), che ne stanno snaturando profondamente l’essenza originaria e, temiamo, la sua efficacia finale.
Questa legge fa parte del più ampio pacchetto sul cibo e la biodiversità (il Food and Biodivercity Package), ed è l’ultimo tassello del cosiddetto Green Deal europeo e della strategia continentale 2030 per la biodiversità, nonché il primo vero tentativo di preservare i suoli e gli ecosistemi d’Europa. La proposta di legge ha visto la Commissione ENVI del Parlamento europeo (quella dedicata ad ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare), la più grande con ben 88 membri, profondamente divisa nel suo voto (44 a 44) per ben due volte a giugno, rimandando tutto al voto finale in Aula.
Un duro scontro è, infatti, avvenuto dietro le quinte, tra la Commissione stessa e i vari gruppi politici parlamentari che hanno portato a continue modifiche, anche sostanziali, sino alle ultimissime ore. In particolare i gruppi di centro destra, raccolti attorno a PPE-Partito Popolare Europeo, hanno cercato in tutti i modi di depotenziare questa misura, intervenendo soprattutto sull’impianto di una legge che, per la prima volta, dava agli stati obiettivi vincolanti per la conservazione e il ripristino dei suoli e degli ecosistemi.
Pensate che nella prima versione la legge proponeva l’obiettivo obbligatorio di ripristinare la vitalità dei suoli per almeno il 20% delle superfici entro il 2030 per poi salire al 90% nel 2050 e includeva anche azioni per target specifici come gli insetti impollinatori, oltre all’eliminazione del 50% dei pesticidi. Tutti punti avversati dalle lobbies dell’agribusiness, a cui ha teso la mano il PPE, che per mesi si è messo di traverso sino a costringere la Commissione a fare continue modifiche, anche sostanziali.
Peraltro il fatto stesso che su un provvedimento così importante ci sia un’opposizione di questo tipo è una spia preoccupante, soprattutto in vista del voto in Parlamento previsto per questa settimana. Il fatto è che i nodi stanno venendo al pettine. Ovvero sul tavolo non c’è solamente una proposta di legge: a essere messo in discussione è un intero paradigma di sviluppo che per decenni è rimasto sostanzialmente immutato. Se l’obbiettivo a breve termine della Nature Restoration Law è il ripristino del 20% degli habitat totali, sul medio termine (2040) si richiede che ogni Stato membro adotti misure per riportare in buone condizioni il 60% di ogni singolo habitat compromesso, mentre sul lungo termine si arriva come detto al 90%. Perché ciò sia possibile è però necessario rinnovare per davvero, e in alcuni casi ripensare, intere filiere. In sostanza significa andare a toccare realmente gli interessi di chi finora ha macinato, senza troppe limitazioni o attenzioni, profitti a discapito degli habitat naturali, delle specie selvatiche ma anche delle popolazioni locali, soprattutto di quelle rurali, checchè ne dicano i lobbisti di Bruxelles.
Gli emendamenti dannosi che stanno cercando di affossare la legge includono in particolare il ridimensionamento dell’obiettivo principale generale (al 10%), l’eliminazione del contenuto fondamentale della proposta come l’articolo sul ripristino degli ecosistemi forestali, l’indebolimento di altri obiettivi (ad esempio per le torbiere) e la limitazione dell’azione di ripristino alle aree Natura 2000.
Da questo dibattito sta emergendo con forza l’arretratezza culturale e la superficialità di alcuni settori politico-produttivi. L’idea che il ripristino degli habitat naturali possa interferire anche solo marginalmente con il sistema economico e produttivo per alcuni equivale a una blasfemia. E poco importa che senza misure di questo tipo quello stesso sistema economico sia destinato al collasso; poco conta che la legge vada a creare benefici sia per la sostenibilità ambientale, sia per quella economica del sistema-Europa; poco conta che il ripristino delle aree degradate, oltre a tutelare la biodiversità, renderà più semplice il processo di decarbonizzazione che per forza di cose l’UE deve perseguire.
Ancora una volta, la destra europea (con quella italiana purtroppo in prima linea), sembra intenzionata a puntellare lo status quo, a costo di vederselo crollare addosso. Ed è triste vedere deputati, anche relativamente giovani, che per ordini di scuderia prendono posizioni chiaramente anacronistiche e antistoriche. Pochi osano, su questioni che non dovrebbero avere un colore politico e che interessano direttamente il bene comune, pensare con la propria testa. Ancor più hanno il coraggio di schierarsi contro gli ordini del partito.
Poi però quando le cose vanno male, quando con inondazioni, frane o siccità la natura ci presenta il conto, si parla ipocritamente di “fatalità” e si invoca “lo stato di calamità naturale”: che pena!
(continua…)
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