“Sono un mammifero perfetto”, questa la risposta che in genere riceve l’interlocutore colpito dalla mia (quasi) totale insensibilità climatica. Scorrono le stagioni, ma il mio abbigliamento subisce minima, o nulla, variazione. Tonalità di colore e fogge, nella fattispecie, non c’entrano: le tinte scure – tra il grigio, il blu scuro e il nero – sottolineano l’annullamento di qualsivoglia svolazzo o conato estetizzante.
L’interlocutore di cui sopra è in realtà incuriosito da altro. Spariti definitivamente maglioni – uno o due, forse, vegetano nei miei armadi, in attesa di cimenti in alte quote alpine – e giacche pesanti, le concessioni del sottoscritto ai rigori invernali si limitano a maglie leggere a maniche lunghe a ricoprire l’accoppiata maglietta e (immancabile) maglietta della salute. I calzoni lunghi sostituiscono i pantaloncini giusto quei 4-5 mesi l’anno. “E d’estate come fai?”, (si) interroga lo sputasentenze di turno. Mammifero perfetto, appunto: le variazioni di temperatura non incidono più di tanto sull’immediata adattabilità di epidermide e capillari.
Siffatta interazione con l’atmosfera ben si adatta ai quotidiani spostamenti in bici, che a fine anno fanno 12-13mila chilometri. Il mammifero perfetto trova nel ciclista totale l’ideale espressione: pioggia o sole, vento o neve, poco importa. Talvolta, con qualche curioso mi capita di chiamare in causa motivazioni estetiche alla inguaribile fedeltà alle braghette corte. (Auto)ironia? Fino ad un certo punto, convinto di essere dotato di luminosi arti inferiori: una sorta di versione maschile della diva Betty Grable – oppure la Linda del bel film “Vorrei che tu fossi qui” (1987), interpretato da una Emily Lloyd che proprio su un velocipede mostra vertiginose gambe –. L’attività sportiva si fa, insomma mimetizzazione e sublimazione di vezzi narcisistici.
Il pubblico, ahinoi, dimostra poco o per niente di apprezzare, più che altro interessato ai miei rapporti con il meteo. Alle mancate sollecitazioni ormonali si sostituì, anni or sono, la genesi di una leggenda metropolitana. E qui occorre, ma sa diss, l’antefatto. Correva il 1987 e un incendio colpì la mia casa, causando gravi distruzioni. “Da allora – fu la (sic) tesi di una conoscente, lustri fa – per il trauma, è come se Matteo avesse un fuoco dentro di sé. È per questo che non soffre il freddo.” In realtà, quale trauma? L’attrazione per le fiamme non è da allora per me mutata, giusto per la cronaca. E, sempre per aderenza asettica alla realtà, non si trattò nemmeno di strano incidente domestico, ma di pura dabbenaggine: un televisore rimasto collegato alla spina e lasciato spento per anni.
Da mammifero perfetto, insomma, a protagonista di leggenda metropolitana. E dove non arrivarono apprezzamenti estetici, poterono i 15 minuti di celebrità di warholiana memoria.
Sulle due ruote tutto l'anno