Sabato scorso Milano ha vissuto un momento unico e straordinario della sua storia recente. Decine di migliaia di persone hanno affollato per un’intera giornata la Darsena, il porto milanese, ossia quel bacino d’acqua a sud della città che era un tempo il crocevia dell’estesa rete di canali e navigli ed è rimasto per decenni abbandonato in uno stato di crescente degrado.
Il progetto per il recupero risale a qualche anno fa, i lavori sono durati diciotto mesi. Intorno all’acqua sono state realizzate passeggiate, un mercato coperto, un ponte e altri spazi utilizzabili dai cittadini. Non tutte le soluzioni adottate appaiono convincenti; qualcuno si è già lamentato per la scarsità del verde, qualcun altro per le scelte architettoniche. In ogni caso l’accoglienza riservata alla riapertura di questo luogo storico ha espresso in forma inequivocabile ciò che più apprezzano i cittadini, e non solo i milanesi: città umane, ricche di spazi pubblici aperti dove poter passeggiare, riposare, incontrarsi, fare sport.
Ciò che invece è accaduto negli ultimi decenni e continua ad accadere, a Milano come in ogni altra città italiana, è l’esatto contrario. La “città pubblica”, cioè la città che soddisfa il bisogno umano di vivere in comunità, è stata spazzata via dalla deregulation urbanistica e da ogni forma di scempio edilizio.
Dal dopoguerra in avanti, i nostri centri urbani hanno smarrito quasi completamente la loro funzione pubblica per diventare un semplice “conto economico”. Amministratori senza scrupoli e immobiliaristi voraci hanno stretto i centri urbani in una tenaglia: da un lato la pressione della finanza speculativa, dall’altra il permissivismo o, peggio, la complicità delle istituzioni. Si è così imposta una logica di rapina che ha sfigurato centri storici di valore universale, innalzato squallide periferie, saccheggiato terreni agricoli.
II principio dell’urbanistica contrattata è all’origine del disastro. Un altro duro colpo è stato inferto dalla possibilità di usare gli oneri di urbanizzazione (in origine destinati alla costruzione di strade, fogne, reti di distribuzione, scuole, parchi, ecc,) anche per le spese correnti. Con questa scelta speculatori e amministratori comunali si sono trovati cointeressati, poiché per entrambi il consumo di suolo è diventata un’occasione per ottenere danaro. L’accordo è diventata una regola, con conseguenze nefaste per le nostre città, che sono state deturpate all’interno e che hanno divorato i territori circostanti.
L’urbanistica in Italia è svigorita da almeno 30 anni, anche più. Bisognerebbe ricominciare daccapo, tornare a pensare alla città pubblica, ma non sarà semplice perché gli interessi in gioco sono enormi e l’ingordigia è la madre di tutti i mali. Eppure i cinquantamila milanesi che hanno passeggiato sulle rive della nuova Darsena dal mattino alla sera manifestano le vere esigenze dei cittadini.
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