Di lei sappiamo quasi tutto: che era alta poco più di un metro, che è vissuta circa 3.2 milioni di anni fa nella zona dell’attuale Etiopia e che al momento della sua morte era una giovane adulta.
Ora, però, siamo in grado di dire anche che cosa fu a provocare il decesso di questo celebre australopiteco. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature e condotto da un’equipe di ricercatori dell’Università del Texas, a causare la morte dell’ominide sarebbe stata una caduta. I segni riportati sui resti dello scheletro – di cui ci è giunto il 40% del totale – sono compatibili con quelli di uno schianto al suolo da un’altezza considerevole.
In particolare, l’incidente causò a Lucy la frattura delle giunture delle spalle, degli arti inferiori e del bacino, oltre che dell’osso mascellare.
È molto probabile che l’ominide, accortosi di quanto stava succedendo, abbia cercato di attutire l’impatto proiettando le braccia in avanti.
«Abbiamo scansionato tutti i reperti per giungere a questa conclusione – ha spiegato il professor John Kappelman dell’ateneo texano –. La nostra ipotesi è che Lucy fosse cosciente nel momento della caduta e che si trovasse a un’altezza di circa 12 metri quindi, presumibilmente, su di un albero».
Come vivevano i nostri antenati
La nuova scoperta ci dice molto sulle abitudini dei nostri antenati, che vissero tra i 4 e i 3 milioni di anni fa.
«Gli Australopithecus afarensis passavano parecchio tempo sugli alberi – ha spiegato alla BBC Chris Stringer, del museo di Storia Naturale di Londra –. Si stava sugli alberi per proteggersi dai predatori e per mangiare, oltre che per riposare. Non è da escludere, quindi, che al momento della caduta Lucy si trovasse sui rami per difendere la propria prole».
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