La maggior parte dei gamberetti che finiscono sulle tavole occidentali provengono tutti dalla stessa zona: il Sud Est Asiatico. Qui, negli scorsi anni, le distese di mangrovie sono state estirpate per lasciare spazio all’allevamento dei gamberetti, attività considerata redditizia dal punto di vista economico, ma disastrosa per l’ambiente.
Mano a mano che la richiesta occidentale cresceva, le mangrovie venivano tagliate. I danni sono cominciati di lì a poco: senza la naturale protezione, i villaggi costieri di Indonesia, Vietnam e Thailandia si sono scoperti estremamente vulnerabili. Gli eventi climatici estremi hanno iniziato a fare vittime e a distruggere interi villaggi di pescatori, tanto da essere arrivati al punto di chiedersi fino a che punto, realmente, l’acquacoltura di gamberetti possa essere considerato un business sostenibile ed effettivamente redditizio.
Un ambiente fragile
Le foreste di mangrovie non solo proteggono la costa, ma hanno anche un ruolo importante nell’assorbire monossido di carbonio.
Ma non solo: le aree adibite all’allevamento dei gamberetti hanno brevi utilizzi. Secondo le ricerche del Centre for International Forestry Research (CIFOR), – che hanno preso in analisi 55 siti nel Sud Est Asiatico e in America Latina –, dopo 3 – 9 anni le aree non sono più adatte all’acquacoltura a causa del forte inquinamento prodotto dall’attività. Ne consegue che il disboscamento è inarrestabile: gli allevamenti si spostano continuamente, a danno delle mangrovie.
Più emissioni della carne
La ricerca ha mostrato anche un altro dato impressionante: per produrre un chilo di gamberetti, nell’atmosfera vengono emessi 1603 chilogrammi di C02. Una cifra esorbitante, se si pensa che per produrre la stessa quantità di carne rossa vengono immessi in atmosfera “solo” 1400 chili di anidride carbonica.
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