Il sole di un tardo pomeriggio estivo illuminava il piazzale di ghiaia antistante alla casa dei miei genitori. Il portone d’ingresso era spalancato e, sulla soglia, mirabilmente intonata allo stile neoclassico della casa, stava mia madre nel suo tailleur di ottimo taglio e senza un capello fuori posto.
L’abito che indossava era di un rosa pallido che s’intonava perfettamente al colore delle ortensie che si trovavano disposte in due grossi vasi di marmo ai lati del portone.
Mia madre mi fece un cenno di saluto con la mano mentre io parcheggiavo la macchina. L’ombra del grande cedro libanese, piantato da mio nonno, mi fece gola e decisi di lasciare il veicolo al fresco.
In ritardo per l’aperitivo serale, presi velocemente i miei effetti personali e m’incamminai verso casa.
Non feci in tempo a mettere piede sul primo gradino d’ingresso che squillò il telefono.
Guardai il display, sperando non fosse qualcosa d’urgente. Era la moglie di un caro amico di mio padre, e conoscendo il suo essere ansioso e apprensivo verso Ermes, il loro Golden Retriever, decisi di rispondere.
«Ciao Stefano, come stai? Senti devo chiederti una cosa veloce», disse frettolosamente Mariagrazia.
«Ciao, certo dimmi pure» risposi io, sperando fosse una cosa rapida e indolore.
«Stamane ho fatto la parmigiana, e siccome ho avanzato qualche melanzana panata, ne ho dato un pezzetto a Ermes – proseguii la donna -, poi quando l’ho raccontato a mio marito, si è arrabbiato, dicendo che non potevo dargliela. Ma secondo te? Tu che sei veterinario».
«Ha ragione tuo marito, la melanzana è fritta, non dovevi dargliela!» le dissi.
«Ma che fritta Stefano, la melanzana è di stamattina, ormai l’olio è bello che assorbito. E poi diciamocelo, la melanzana è una verdura e fa bene!».
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