Da quando, nel 1991, sul ghiacciaio del Similaun, in Val Venosta, al confine tra Austria e Italia, venne alla luce il corpo di Ötzi – dopo essere rimasto sepolto nel ghiaccio per 5.300 anni – gli scienziati hanno sottoposto la mummia a un check-up completo. Sono emerse giunture logorate, un’escrescenza mostruosa sul mignolo del piede e altri acciacchi che testimoniano l’inclinazione di Ötzi a camminare.
Dove si stava dirigendo l’Uomo del Similaun? Sulla ragione del suo viaggio sono state spese molte ipotesi: andava a caccia? era braccato? era un pastore?
In realtà non conosceremo mai la risposta. Ma in quella mummia possiamo trovare una sintesi di tutte le ragioni che l’uomo ha escogitato per vagare per il mondo, da Adamo in qua.
L’umanità è in viaggio da millenni, verso una meta o senza meta, con uno scopo o senza scopo. Quell’andare non si sa dove iniziato da Ötzi cinquemila anni fa – secolo più, secolo meno – si perpetua all’infinito. Cito da On the Road di Jack Kerouac: «Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati. Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare».
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