Proseguiamo nel nostro viaggio contro l’antropocentrismo dicendo che gli uomini non si distinguono dagli animali neanche per il rito funebre e la coscienza della morte.
Il teologo e biologo Oliver Putz osserva che, poiché gli scimpanzé sono capaci di agire morale, è possibile che i cristiani li considerino come se fossero stati fatti a immagine di Dio. (Putz O., “Social Apes in God’s Image: Moral Apes, Human Uniqueness, and the Image of God” Journal of Religion and Science, 2003).
Inoltre, Nancy R. Howell suggerisce che «scimpanzé e bonobo possono avere i precursori della cultura e della spiritualità, come la connessione, l’interdipendenza e la socialità» e un livello di capacità simbolica.
La primatologa Jane Goodall va oltre, osservando che alcuni scimpanzé possono “danzare” all’inizio di forti piogge o quando si imbattono in una cascata. La scienziata ipotizza che «le loro manifestazioni elementari siano precursori di rituali religiosi». (Goodall J, “Primate spirituality” The Encyclopaedia of Religion and Nature).
I riti funebri degli elefanti
Mentre il dolore è comune a molti animali, i rituali funebri non lo sono. Tuttavia, sono ben documentati negli elefanti africani. Secondo Ronald K. Siegel «… non si può ignorare l’elaborato comportamento di seppellimento degli elefanti come segno simile di comportamento rituale o addirittura religioso in quella specie. Quando incontrano animali morti, gli elefanti li seppelliscono spesso con fango, terra e foglie. Animali noti per essere stati sepolti dagli elefanti includono rinoceronti, bufali, mucche, vitelli e persino umani, oltre agli stessi elefanti. Gli elefanti sono stati osservati seppellire i loro morti con grandi quantità di cibo, frutta, fiori e fogliame colorato». (Bekoff M, “Grief in Animals” Psychology Today, October, 2009).
Il dolore per la perdita
Sia gli scimpanzé in Natura che quelli in cattività si impegnano in comportamenti ritualizzati quando sopravviene la morte di un membro del gruppo. Questi comportamenti iniziano con il silenzio di gruppo o individuale, che può durare per ore ed è seguito da comportamenti come vocalizzazioni distintive; proteggere il cadavere; visita solenne e contemplazione del cadavere da parte dei membri del gruppo; display; e piagnucolii simili a lamenti o urla di angoscia.
È noto che anche i delfini restano per diversi giorni con membri del loro branco deceduti di recente, impedendo ai subacquei di avvicinarsi. Tuttavia, le ragioni di ciò rimangono oscure. Mentre gli scienziati possono osservare le loro azioni, i processi di pensiero che li motivano vanno oltre lo studio attuale.
Antropocentrismo smisurato
Gli animali provano empatia, come i nostri fedeli compagni cani. Hanno senso di giustizia come i macachi dell’esperimento di Frans De Waal che tirano il cetriolo allo sperimentatore se il loro compagno a fianco riceve invece una nocciolina. I corvidi hanno dimostrato di avere teoria della mente, comprendendo l’intenzione altrui. Le ghiandaie, infatti, sono in grado di capire se il cibo che stanno nascondendo potrebbe essere rubato da altri uccelli.
Insomma, questi esempi sono pochi rispetto alla quantità inimmaginabile di capacità cognitive e morali degli animali, ma sono sufficienti per permetterci di ragionare sul nostro antropocentrismo smisurato, sul nostro credere di essere gli unici. L’unica specie intelligente, l’unica specie che parla, che costruisce, che regala un rito funebre ai morti, che fa distanziamento sociale, che usa disinfettanti, che conta, che prova empatia.
Non siamo nemmeno gli unici a coltivare. Una specie di formiche coltiva il fungo Leucoagaricus gongylophorus, creando un prezioso terreno di crescita dalle foglie masticate e tenendo alla larga le erbacce, usando una combinazione di antibiotici “naturali”. In cambio, il fungo rappresenta la principale fonte nutritiva delle formiche.
Leggi qui il primo articolo della serie “Cognizione animale”
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