Abbiamo raggiunto il cuore della foresta amazzonica dopo aver navigato per giorni lungo il rio Shiripuno. Serpeggiando tra le sue acque basse e insidiose il comandante ha dovuto ricorrere a tutta la sua esperienza (e all’aiuto delle divinità locali interpellate più volte…) perché la canoa non si incagliasse. L’attenzione si era poi trasformata in tensione non appena raggiunta la regione delle ostili popolazioni dei “non contattati”, che raramente risparmiano la vita a chi incontrano sul loro cammino.
Arrivati al villaggio di Bameno sono stato presentato alla comunità che mi ha accolto con totale naturalezza, come fossi uno di loro di ritorno dopo un lungo viaggio. Patricio, la mia guida di origini creole, ha insegnato spagnolo per diversi anni nel villaggio. Ora parla correntemente la lingua indigena e ovunque vada raccoglie sorrisi a conferma di quanto sia amato da questa gente.
Abbiamo trascorso i primi giorni nel villaggio partecipando alle attività più tradizionali della comunità, come la caccia, la pesca e le celebrazioni. Per oggi abbiamo previsto una breve visita alla scuola dove Patricio ha insegnato in passato. L’edifico squadrato in cemento, fatto costruire dal governo ecuadoriano, dissona tra le tipiche capanne dai tetti in paglia costantemente aperte a chiunque voglia entrare.
Di fronte alla scuola si trova il campo da calcio: una colata di cemento coperta da una tettoia che ha preso il posto del grande piazzale erboso. Bussiamo alla sottile porta in legno e dopo qualche istante veniamo accolti dal maestro che dieci anni prima era stato uno studente di Patricio. Si abbracciano, poi ci fa entrare e ci presenta alla classe, prima in spagnolo e poi in huaorani.
È una classe mista per età, il più piccolo ha circa 6 anni e il più grande 14. Il maestro mi illustra il programma della giornata, poi mi chiede da dove arrivo. Gli rispondo che sono italiano mentre i ragazzi mi guardano incuriositi.
Quindi mi rivolgo alla classe e chiedo se sanno dove si trova l’Italia mentre Patricio traduce la mia domanda in huaorani. Chiedo quindi un pezzo di gesso all’insegnante, poi mi avvicino alla lavagna e disegno un grande cerchio dove abbozzo le forme delle Americhe, dell’Europa e dell’Africa. Con un cerchietto indico la posizione del loro villaggio e al lato opposto evidenzio l’Italia colorandola di bianco. Poi con una traccia ad arco unisco i due punti sopra la quale disegno la forma di un piccolo aeroplano.
Uno dei bimbi più grandi si alza e dice: “pero el vive en una bota?” (ma lei vive in uno stivale?). Il maestro mi guarda e sorride. Alcuni bimbi scoppiano in una risata. Gli rispondo che in parte è vero, perché il mio Paese ha proprio la forma di uno stivale e per andarci bisogna prendere un aereo e volare per più di dieci ore. Patricio traduce nuovamente le mie parole che suscitano lo stupore dei bambini.
Dopo aver raccontato qualcosa dell’Italia, il maestro mi dice che posso sentirmi libero di scattare alcune foto della classe mentre lui riprende la lezione. Camminando basso tra i banchi, per non disturbare la lezione, raggiungo uno ad uno gli studenti che con grande orgoglio si lasciano fotografare. Arrivo poi di fronte a una delle ragazzine più grandi e nel momento in cui sollevo la macchina fotografica lei si copre il viso con i suoi lunghi capelli neri e setosi. Non insisto, le sorrido e passo alla sua compagna di banco. Terminata la visita salutiamo il maestro e i bambini che si alzano tutti in piedi.
Usciti dall’edificio commento con Patricio l’atteggiamento di timidezza della ragazzina che si è coperta il viso con i capelli. Patricio mi dice che non è timida, lei non può farsi fotografare perché è Conta. Lo guardo perplesso e gli chiedo cosa intenda dire. Inizia così a raccontarmi la storia della ragazzina, ora in adozione presso una famiglia di Bameno. Nel 2013 era stata sequestrata al suo villaggio da parte di un’altra comunità huoarani, come rappresaglia per vendicare la morte di due anziani trafitti dalle lance dei guerrieri del villaggio di Conta. Nel corso di quella spedizione punitiva erano state uccise decine di persone ed erano state sequestrate due sorelle. Conta è una Tagaeri, una delle due comunità huaorani che fanno parte delle popolazioni dei “non contattati”. Da anni hanno deciso di prendere le distanze dagli altri clan e soprattutto dal mondo occidentale, così ora vivono in totale isolamento nella foresta e colpiscono a morte chiunque sconfini nei loro territori.
Da sempre i clan huaorani sono in conflitto tra loro, originariamente per la contesa delle donne. La situazione è peggiorata drasticamente da quando sono arrivate in Amazzonia le compagnie petrolifere. Per occupare indisturbati i territori hanno fatto deportare intere comunità indigene e hanno alimentato l’odio tra i clan (offrendo loro anche armi da fuoco), in modo da indebolire ogni azione anti repressiva.
All’improvviso suona una campanella, poi si apre la porta e tutti i bambini corrono fuori. Si dirigono verso il campo di calcio dove però nessuno si ferma. Li inseguiamo mentre corrono e saltano tra l’erba alta e i cumuli di terra fino a raggiungere il fiume, il rio Shiripuno. Poi si spogliano completamente e iniziano a tuffarsi tra le acque marroni di terra del rio Shiripuno. A turno si arrampicano sulla ripida riva fangosa per poi ributtarsi in acqua, scaricando tutta l’energia accumulata stando seduti tra i banchi della scuola. Mi volto, guardo il campo da calcio in cemento e penso a quanto sia costato sia in termini economici che di sostenibilità. Probabilmente è servito a pulire le coscienze di chi ha permesso il passaggio indiscriminato di quelle tubature arrugginite che oggi attraversano l’intera foresta amazzonica gocciolando petrolio e sangue indigeno.
Il momento dello scatto
Raggiunta la riva del fiume mi fermai ad osservare la scena. I ragazzini si rincorrevano e si tuffavano a turno nell’acqua creando increspature che riflettevano la luce del sole filtrata dalle nuvole. Rimasi in piedi per riprendere la scena dall’alto. Volevo che uno dei soggetti rappresentasse l’elemento principale dell’immagine. Mi concentrai quindi sul movimento che facevano con la testa non appena emergevano dall’acqua dopo il tuffo. Per far colare via l’acqua dalla faccia ruotavano rapidamente la testa facendo schizzare le gocce in ogni direzione, creando quindi una sorta di vortice.
Le condizioni di luce erano estremamente stabili, così impostai l’apertura del diaframma a circa metà scala per sfruttare la massima qualità dell’obiettivo (f10), impostai la sensibilità del sensore al minimo (ISO 200) e verificai che il tempo di scatto dell’otturatore fosse sufficientemente rapido per congelare i movimenti dei bambini. Mentre attendevo l’istante giusto per scattare, controllavo la posizione delle teste degli altri ragazzini in modo da curare l’equilibrio della composizione.
Dati tecnici
- Data: 10/01/2019
- Corpo macchina: Nikon Z6
- Obiettivo: Nikkor Z 24/70 f4
- Lunghezza focale al momento dello scatto: 26 mm
- Apertura diaframma: F 10
- Tempo otturatore: 1/200 sec.
- Compensazione esposizione: 0
- Sensibilità sensore: ISO 200
- Modo di ripresa: A (priorità di diaframmi)
VIAGGI FOTOGRAFICI di Davide Pianezze: