Spesso, nelle storie di sopravvivenza, il perno narrativo ruota attorno al cibo, sogno e incubo allo stesso tempo. Cibo dato per scontato, soprattutto nelle società più avanzate, che in quei frangenti diventa l’unica chance per lottare ancora.
Questa volta è la vicenda – amara e spietata – del fotografo Carl McCunn a insegnarci qualcosa.
I più accaniti lettori di Into the Wild – Nelle terre estreme di Jon Krakauer avranno forse già in mente il suo nome: i dettagli che accumunano la storia di McCunn a quella di Christopher McCandless, il protagonista del libro, non sono così diversi e il saggista statunitense lo aveva, infatti, sottolineato. Nello specifico: l’Alaska, la passione per le terre desolate e la solitudine, e la questione cibo, per l’appunto.
Nato nel 1946 nella Monaco della Germania da poco divisa, McCunn cresce a San Antonio, in Texas, e dopo aver abbandonato la carriera militare nella Marina, dove aveva prestato servizio per quattro anni, si trasferisce prima a Seattle e poi ancora più a Nord, a Anchorage.
È alla fine degli anni Settanta che McCunn avverte in sé un richiamo inizialmente indistinto. La città, per quanto poco popolosa (a oggi conta meno di 300.000 abitanti) è ancora troppo una città.
La mente del trentenne guarda più a Nord, molto più a Nord. A Fairbanks, ecco dove. Esattamente 359 miglia più a Nord, nel cuore dell’Alaska. Forse anche il nome Fairbanks vi dirà qualcosa.
Nel 1981 McCunn si fa portare da un bush pilot a bordo di un piper a circa 225 miglia a Nord Est rispetto a Fairbanks, in prossimità di un lago nemmeno battezzato. Ha intenzione di trascorrere cinque mesi in totale solitudine per fotografare la fauna selvaggia e la natura incontaminata dell’area. Ha con sé 500 rullini, 1400 pounds (ovvero 640 kg) di provviste, tre fucili.
Sul rientro, pare che si fosse accordato con il pilota per il mese di agosto, ma evidentemente non si capiscono: nessun Piper si fa vedere in quel periodo e McCunn spera che il padre o gli amici a cui aveva spedito la sua posizione si mettano alla sua ricerca. Tuttavia le coordinate geografiche inviate risulteranno essere assolutamente approssimative.
Sul suo taccuino si legge: «Penso che avrei dovuto usare più lungimiranza per organizzare la mia partenza. Lo scoprirò presto». A metà agosto McCunn è ormai certo di dover razionare le provviste e di dover iniziare a cacciare.
La testimonianza di un agente dell’Alaska State Trooper circa l’avvistamento del campo di McCunn rimane uno degli episodi più oscuri dell’intera vicenda. L’uomo, infatti, racconterà in seguito di aver sorvolato l’area e di aver visto il fotografo, ma di non aver notato da parte sua alcun segno di necessità o richiesta di aiuto.
Eppure McCunn appunta ancora, nel suo diario: «Ricordo di aver alzato la mano destra, la spalla alta e di aver stretto il pugno al secondo passaggio dell’aereo. Ero felice, come quando la tua squadra segna un touchdown o qualcosa del genere. Ma scopro che è il segnale per “ALL O.K. – NON ASPETTARE!”. È certamente colpa mia se sono qui adesso! … Amico, non ci posso credere. … mi sento davvero un *! Ora so perché nessuno si è fatto vedere da quell’incidente».
Ma c’è un altro punto: quello del capanno di cacciatori pieno di provviste posto a poca distanza dal campo. McCunn ne è certamente a conoscenza, ma non è risultato mai chiaro il motivo per cui non ne usufruì: un altro State Trooper glielo aveva indicato durante la fase di preparazione del suo viaggio. Poteva costituire un buon riparo in caso di tempo avverso. Ma forse fu proprio il maltempo a non consentirgli nemmeno di raggiungerlo.
Carl McCunn prova dunque a piazzare trappole ma con poco successo. Prima di novembre, il cibo è esaurito; valuta l’idea di camminare per 75 miglia (circa 121 km) fino a Fort Yukon, ma la neve e le sue condizioni oramai deboli non glielo permettono.
Il 26 novembre il suo taccuino riporta «vertigini e tremori continui». Non rimane che una sola cosa.
McCunn si toglie la vita con uno dei fucili, lasciando una lettera ai famigliari, i quali si mobilitano alla sua ricerca solo agli inizi del 1982. Il 2 febbraio un areo di soccorso trova il suo campo e i soccorritori rinvengono il corpo congelato e emaciato all’interno della tenda.
McCandless, secondo lo scrittore Krakauer, era sicuramente al corrente della vicenda di McCunn, passata perlopiù inosservata all’epoca.
In Alaska di gente ne muore un sacco. E chi non ha esperienza, o sottovaluta la preparazione psicofisica richiesta, o minimizza le abilità da possedere, è in cima alla lista.
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