In un mondo dove le questioni ambientali sembrano problemi quasi insormontabili e a volte addirittura negati è un segno di speranza vedere come una persona caparbia e appassionata di nome Piero Mescalchin sia riuscita in anni di lotta a portare all’attenzione di tanti e a valorizzare e difendere un tratto di mare, le Tegnùe di Chioggia, straordinariamente ricco di biodiversità e di alto pregio naturalistico, come testimoniano le immagini che vedete qui.
Cosa sono le Tegnùe?
Ricoperta tra 9000 e 7000 anni fa dall’innalzamento delle acque dell’Adriatico, questa zona di origine deltizia ha subito un progressivo processo di indurimento del fondale fino a diventare una delle più estese aree a fondo duro di un mare più noto per le sue spiagge e i suoi fondali sabbio-fangosi.
La presenza di substrati duri, di solito i più ricercati e colonizzati da parte di una grande varietà di organismi marini, ha permesso lo sviluppo di ricche biocenosi dove le alghe si mescolano alle spugne, i crostacei ai pesci, le ascidie a echinodermi, briozoi, vermi e cnidari.
Tutto questo ben di Dio è stato a lungo appannaggio delle conoscenze dei pescatori, che cercavano di evitarle per impedire che le loro reti si impigliassero nel fondo, e di un ristretto numero di ricercatori e di pochi ardimentosi subacquei che di questo mare di casa avevano fatto la meta delle loro immersioni.
Mescalchin con la sua opera ha posto sotto gli occhi di tutti questa meraviglia biologica la cui importanza, dopo anni di battaglie vinte e perse, è stata ufficialmente riconosciuta con la decisione dell’amministrazione del Comune di Chioggia di chiedere la gestione delle Tegnùe e la firma di un protocollo d’intesa tra Comune, Parco del Delta del Po, Ispra e Università di Padova.
Cosa si vede in questo paradiso sommerso?
La prima impressione potrebbe essere fuorviante. L’Adriatico, soprattutto la sua parte settentrionale, non è esattamente un mare limpido. La torbidità per quanto possa variare è una costante, ma in questa zona diventa anche un elemento di ricchezza. I sedimenti sospesi che ostacolano la visione sono alla base di ricche reti trofiche e una pacchia per gli animali filtratori, come le spugne che costellano il fondo dove creano incredibili macchie di colore pronte a essere risvegliate dai flash e dalle torce subacquee.
A mano a mano che l’occhio si abitua si scopre un mondo insospettabile. Le parti rocciose, a volte estese e simili a bastioni in rovina, si alternano a soffici sedimenti, ricoperti in alcuni punti da un tappeto di stelle serpentine sopra le quali passano gruppi di merluzzetti che nel loro vagabondare vanno a disturbare grossi gronghi in tana e astici in attesa della notte per muoversi in caccia.
Le sorprese possono essere girato l’angolo, e non è un modo di dire. Dietro una roccia potreste disturbare qualche pettine che subito si alza dal fondo battendo le sue valve oppure dare il via a una galoppata di decine di piccoli paguri destinata a concludersi pochi metri più in là.
Sono le sorprese di un mondo che non ti aspetti e che riserva le stesse emozioni di quando, in una giornata di nebbia, le ombre soffuse che si intravedono da lontano si trasformano da vicino in spettacoli di forme suggestive e colori inattesi. Grazie Piero per questo dono.
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