Una Sicilia boscosa, fresca, ricca di laghi e torrenti. Insomma, diversa da quella che siamo abituati a immaginare. Eppure esiste, nei Monti Nebrodi, a un passo dal Tirreno e tuttavia così lontani.
Gli Arabi parlavano di queste montagne come di un’isola nell’isola, alludendo, in questo modo, al cambio radicale che il paesaggio assume quando si lasciano i familiari lidi della costa e ci si inoltra tra i boscosi Monti Nebrodi, la dorsale a pochi chilometri dal mare, a metà strada tra Messina e Palermo.
Noi siamo partiti alla loro scoperta prendendo la strada che da Sant’Agata di Militello serpeggia verso Cesarò.
Il paesaggio alle basse quote è quello tipico della campagna del Sud, poche case tra incolti punteggiati da alberi da frutto. Poi cominciano le sughere, le querce simbolo del Mediterraneo, resistenti agli incendi e alla malattie, piantate per raccoglierne la preziosa corteccia. Il primo vero assaggio di quello che è il Parco dei Nebrodi, si ha giungendo al Monte San Fratello. Basta uno sguardo per capire che qui si entra in un ambito diverso. Le abitazioni spariscono e i pendii digradanti diventano una distesa di rocce calcaree, punteggiate dai cespugli variopinti dell’euforbia arborea. Il Monte San Fratello è un’isola rupestre nella collina verde, sito di nidificazione di molti rapaci e preludio di quelle che saranno le Rocche del Crasto, le montagne più celebri dei Nebrodi.
Monti Nebrodi, una foresta alla rovescia
Prima di spingersi così avanti bisogna attraversare il bosco, una foresta sempre diversa che comincia con il cerro per poi lasciare posto al leccio. Dovrebbe avvenire il contrario, con l’essenza mediterranea, il leccio, confinata alle quote più basse, che viene sostituita, più in alto o nelle stazioni più umide, dalle altre querce. Invece qui, nei boschi di Zerbeto, Malo Passo e Fossa del Lupo, si assiste a un fenomeno curioso, noto come inversione vegetazionale, con la lecceta, quanto mai fitta, che ammanta le colline a una quota insolitamente alta, circa un migliaio di metri, prima di lasciare il posto al faggio.
Ormai siamo nel cuore dei Monti Nebrodi e il bosco è l’elemento dominante, un manto verde che riveste tutto l’altopiano, movimentato da una serie di rilievi mai troppo impervi.
Non a caso la parola Nebros in greco vuol dire cervo, animale che un tempo popolava la regione in gran numero, ora estinto. Sopravvivono, invece, alcuni esemplari di caprioli nell’area faunistica di Galati Marmetino.
Rispetto alle foreste dell’Appennino centrale, il paesaggio è piuttosto diverso. Manca l’abete bianco e nelle faggete, che sono le più meridionali di tutta l’Europa, si incontrano altre specie. La parola d’ordine è varietà, ben rappresentata da magnifici esemplari di acero di monte, cerro, agrifoglio. Ed è proprio un acero di monte, noto come l’Acerone, la pianta più famosa del parco, maestoso albero localizzato sul fianco del Monte Soro (1847 m, la vetta più alta del Parco), nel mezzo di una faggeta.
La foresta è spesso interrotta da pascoli, alcuni dei quali allagati, che danno vita a piccole zone umide. Nei boschi più ombrosi si incontrano anche rari esemplari di tasso, conifera legata a climi freschi e umidi, che vede le formazioni più belle nel bosco della Tassita, nella parte orientale del Parco. Le zone più ventose, sottoposte a pascolo, come nei pressi del Lago Biviere, presentano un curioso fenomeno: i faggi, minuscoli e prostrati a livello del terreno, diventano simili a cespugli e si intrecciano con l’agrifoglio, con l’acero e, a volte, il tasso in curiose strutture piramidali, per proteggersi, allo stesso tempo, dal vento e dal pascolo dei bovini.
Le Rocche del Crasto
Grande elemento di rottura con questo paesaggio è l’area rupestre delle Rocche del Crasto, localizzata sopra Longi, nella porzione settentrionale del Parco.
Qui i boschi sono sconosciuti e il paesaggio di roccia prende il sopravvento, interrotto solo da alcune sagome basse di aceri campestri e di perastro, i soli a osare tra le pietre. Attorno nessuna traccia dell’uomo, se non una piccola strada sterrata e la piccola costruzione in pietra del Rifugio del Sole.
Dalle Rocche nelle giornate più nitide lo sguardo si perde sul Tirreno arrivando a scorgere le Isole Eolie, mentre la vetta più alta (1315 m slm) regala una vista spettacolare verso Nord, dove ci sono ad aspettarci il paese Longi e il suo bellissimo canyon, la Stretta di Longi.
In direzione Alcara Li Fusi, si snoda la Valle del Rosmarino, incisa da una maestosa fiumara, simile a quelle più note dell’Aspromonte. Al suolo è il regno degli asfodeli e, nel corso della primavera, anche delle orchidee, come le rare Ophrys bertolonii e Ophrys lacaitae. Non per niente questo sito è uno dei più visitati dai botanici di tutta Europa, che qui possono trovare un’enorme varietà di specie in una manciata di chilometri quadrati.
Ma le Rocche hanno anche due ospiti d’eccezione, specie-simbolo del Parco dei Nebrodi, il grifone e l’aquila reale. Il primo si è riappropriato di questo territorio recentemente, mentre l’aquila nidifica su queste rupi da tempo immemorabile, assieme al corvo imperiale.
I due maggiori predatori terrestri sono la volpe e il gatto selvatico, al vertice di un lungo elenco di mammiferi che comprende anche specie non comuni, come l’istrice e la martora. Grandi assenti sono, invece, gli ungulati selvatici tipici delle foreste appenniniche, mentre i mammiferi di grossa taglia sono rappresentati dal cavallo sanfratellano e dal suino nero, allevati allo stato semibrado. Sui Nebrodi, inoltre, nidificano più di 150 specie di uccelli, con presenze illustri come il falco pellegrino, il nibbio reale, l’upupa, il merlo acquaiolo e tre sottospecie siciliane della cincia bigia, del codibugnolo e della coturnice.
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