Quando sentiamo parlare di Lamarck (nome completo Jean-Baptiste Pierre Antoine de Monet, Cavaliere di Lamarck), generalmente associamo questo nome a una visione errata dell’evoluzione, una sorta di esempio da non seguire, in opposizione alla corretta visione di Darwin e di tutti i suoi successori: secondo Lamarck, la giraffa ha il collo lungo perché, sforzandosi di raggiungere le foglie più alte degli alberi, questo si è progressivamente allungato e la caratteristica acquisita dai genitori si è poi trasmessa ai figli, ottenendo così animali sempre più alti. La visione corretta, darwiniana, sostiene invece che le giraffe dal collo più lungo, all’interno della naturale variabilità della specie, sono state avvantaggiate da questa caratteristica, e hanno trasferito tale qualità ai figli, loro somiglianti. Quelle col collo più corto, per contro, sono morte più frequentemente prima di riuscire a riprodursi e, col tempo, sono progressivamente scomparse Questa contrapposizione, a noi tanto familiare dalle lezioni di scienze delle medie e dei primi anni delle superiori, è corretta, ma rimane praticamente l’unico motivo per cui noi ora sembriamo ricordare il buon Lamarck, che invece è stato uno scienziato fondamentale per lo sviluppo delle più importanti teorie della biologia, protagonista di una vita molto difficile e travagliata.
Figlio di una nobile famiglia nobile decaduta, il giovane Lamarck, ancora adolescente, si distinse sul campo di battaglia nel corso della Guerra dei sette anni. Si arruolò a soli 17 anni, poco dopo la morte di suo padre. Nel 1761, si trovò a capo di una piccola guarnigione di 14 superstiti circondati dalle milizie prussiane, fino all’arrivo dei rinforzi che li portarono in salvo. Per il coraggio dimostrato fu nominato ufficiale sul campo. Nonostante il valore dimostrato, a causa di un banale incidente di gioco con i suoi commilitoni una grave infiammazione alle ghiandole linfatiche del collo lo costrinse ad abbandonare l’esercito. Questo fu comunque un bene per il mondo della scienza, perché alla perdita di un valoroso soldato corrispose la nascita di un grande scienziato.
Il giovane Lamarck sopravvisse per alcuni anni grazie a una misera pensione per veterani di guerra e con un lavoro di impiegato in banca. Ma, grazie all’incontro con il botanico Antoine de Jussieu, a capo del Jardin du Roi di Parigi, Lamarck scoprì l’amore per la botanica. Si immerse anima e corpo nello studio delle piante e, in pochi anni, divenne uno dei più grandi esperti della flora francese. Grazie anche all’aiuto del suo mecenate, il conte di Buffon, il suo libro Flore française ottenne un buon successo. Dopo alcuni cambiamenti dovuti alla Rivoluzione Francese, Lamarck fu costretto a reinventarsi un’altra volta, dato che divenne professore per il Musée National d’Histoire Naturelle. Sfortunatamente per lui, la cattedra che gli venne assegnata non riguardava la botanica, ma la storia naturale degli invertebrati o, come veniva chiamata ai tempi, “degli insetti e dei vermi”. Si trattava senza dubbio della cattedra meno prestigiosa tra tutte e, come se non bastasse, riguardava un argomento del quale Lamarck conosceva poco o nulla. Ciononostante, lo scienziato non si scoraggiò e anzi affrontò il nuovo incarico con entusiasmo, dedicandosi con passione alla materia. Coniò il termine “invertebrati”, riordinò e organizzò alla perfezione le collezioni del museo e, dopo anni di studio, pubblicò una serie di brillanti lavori sull’argomento. Buona parte dei gruppi tassonomici degli invertebrati che sono tutt’ora validi sono nati dal genio di Lamarck, che diede così dignità e valore a forme di vita un tempo considerate erroneamente “inferiori”.
Lamarck, come abbiamo visto, fu anche uno dei primi (insieme allo stesso Buffon) a sostenere che le specie fossero in grado di mutare, evolversi, col passare delle generazioni. Di lì a qualche decennio questa visione avrebbe preso piede diffusamente, fino a diventare l’idea cardine di tutte le scienze della vita.
Purtroppo però, alla grandezza delle idee di Lamarck non corrispose mai una altrettanto grande notorietà. Per buona parte della sua vita, lo scienziato visse in gravi ristrettezze economiche e nel 1818 lo scienziato perse anche la vista. Negli ultimi anni della sua vita la sua salute peggiorò e le sue opere scientifiche vennero progressivamente dimenticate. Morì nel 1829. Ricevette un funerale molto umile e fu sepolto in uno spazio affittato al cimitero di Parigi. Dopo alcuni anni vennero rimosse le sue spoglie, e nessuno sa dove si trovino oggi.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com