Il Dieselgate, e le pesanti sanzioni per le case automobilistiche coinvolte, hanno sicuramente decretato l’eutanasico cammino su cui è incanalato lo sviluppo di questa tipologia di propulsore, per lo meno nel settore delle automobili. Ecco quindi che, con più forza delle traballanti determinazioni di COP 21, arrivano “dal basso”, cioè dalle Case stesse, le scelte verso altri tipi di motorizzazione da affiancare ai motori endotermici, fino a sostituirli completamente.
Le avanguardie del Nord Europa
È recentissimo l’annuncio di Volvo, il costruttore di Göteborg, che dal 2019 (cioè “domani” in termini di programmazione industriale!) dirà addio ai motori tradizionali a combustione, benzina e diesel e produrrà solo autovetture ibride ed elettriche. Ed è questo il trend che si respira da quelle parti: in Olanda dal 2035 saranno banditi tutti i veicoli a combustione; la Scandinavia sta investendo in infrastrutture per veicoli elettrici, in agevolazioni e incentivi; in Norvegia già oggi i veicoli elettrici immatricolati superano quelli a benzina.
I governi “inseguono a distanza”...
Ci si chiede se le infrastrutture saranno pronte ad accogliere questa ondata di auto ibride ed elettriche. Le istituzioni, infatti, sono per la maggior parte in ritardo nella realizzazione di piani sulla mobilità a emissioni zero. L’esempio più lampante è l’Italia, che si limita ancora a enunciazioni di buoni propositi e di grandi piani, ma lascia il poco che si fa alle iniziative dei privati.
In questo scenario fa eccezione la Francia, dove un ecologista di lunga data è arrivato alle stanze dei bottoni del ministero dell’Ecologia: Nicolas Hulot.
Presentando il piano per il raggiungimento degli obiettivi di Cop21, ha dichiarato che entro il 2040 verrà bloccata nel Paese transalpino la vendita di auto a benzina e a gasolio; potranno essere acquistati, quindi, soltanto veicoli elettrici. L’obiettivo è il livello zero delle emissioni di CO2. E, conoscendo lo spirito patriottico dei “Bleu”, non c’è da stupirsi se i costruttori nazionali hanno subito aderito e sostenuto il progetto: il Gruppo PSA (Peugeot-Citroën) e Renault sono pronti ad affrontare la sfida.
Il rovescio della medaglia
È un bene che, di fronte all’inerzia delle istituzioni, siano le case automobilistiche a muoversi verso nuove soluzioni alle emissioni di CO2. Ma, in mancanza di un vero e globale piano di mobilità sostenibile, rimangono da sciogliere alcuni nodi, oggi ancora marginali, ma destinati presto a venire al pettine.
Il primo è quello delle batterie, il vero tallone d’Achille dell’auto elettrica. Secondo uno studio dell’Istituto di Ricerca Ambientale svedese IVL – commissionato dall’Associazione dei trasporti nazionale e dalla Swedish Energy Agency – per produrre una batteria per auto elettrica si emetterebbero circa 17,5 tonnellate di CO2, equivalenti a circa 8 anni di circolazione di un motore a benzina. Non tutti concordano su questi risultati ma, tonnellata più o tonnellata meno, il merito dello studio è quello di accendere l’attenzione sull’impronta ecologica dell’intera filiera produttiva e di smaltimento delle batterie.
Secondo una riflessione pubblicata sulla rivista Nature Nanotechnology, se le batterie sono prodotte, per esempio, in una fabbrica cinese che usa elettricità generata da centrali a carbone, l’impronta ecologica di un veicolo elettrico sale vertiginosamente!
Rimangono così ancora da affrontare le problematiche di sostenibilità ambientale dell’auto elettrica, a partire dallo sfruttamento delle miniere di uranio e litio che servono per la produzione delle batterie, fino al loro smaltimento. A oggi, la principale tecnologia per trattare le batterie esauste è un processo piro-metallurgico, in cui i materiali vengono recuperati in un forno ad alta temperatura. Ma, come avviene per il resto delle infrastrutture di sostegno alla diffusione della mobilità elettrica, anche questa rete di impianti è inadeguata e mancano i piani di sviluppo strategici.
Dall’altra parte del filo
Se le auto elettriche in un prossimo futuro dilagheranno sulle nostre strade, avranno bisogno di grandi quantità di energia elettrica. In Francia, secondo uno studio della Enedis – società di distribuzione di energia elettrica, si è stimato che nel 2030 l’energia necessaria sarà quasi un terzo di quella complessiva disponibile nel Paese. Come generarla?
La Francia ha a disposizione l’energia nucleare, che nel 2011 ha fornito il 77% dell’energia elettrica prodotta. In Italia, la produzione di energia elettrica è per quasi il 60% da fonti energetiche non rinnovabili, carbone, gas e petrolio importati dall’estero, e per circa il 43% affidata a fonti rinnovabili, geotermico, centrali idroelettriche, energia eolica, biomasse, solare. Seppure in crescita, la parte di fonti rinnovabili non riuscirà a sostenere l’impennata di fabbisogno di una conversione massiccia da benzina a elettrico del parco circolante nel nostro Paese.
Ritorno al futuro
Forse proprio nella consapevolezza che alcune delle problematiche legate alla tecnologia elettrica non stanno trovando risposte programmatiche certe, Toyota ha ridato vigore alla soluzione a idrogeno, tecnologicamente più complessa, ma più conveniente dal punto di vista ambientale. L’idrogeno, infatti, è un ottimo modo per compensare le oscillazioni tipiche della produzione elettrica da fonti rinnovabili.
Da gennaio 2016 a febbraio 2017 Toyota ha venduto circa 3.000 Mirai e ha lanciato una distribuzione sperimentale in Cina, dove lo smog costituisce un vero problema sanitario per la popolazione.
Se Toyota è in prima fila, gli altri produttori asiatici la seguono: Honda ha la nuova Clarity Fuel Cell; Hyundai la ix35 FCEV; Nissan e Kia stanno lavorando su soluzioni proprie.
Anche per l’idrogeno, però, rimane da sciogliere il nodo tutto politico e programmatico delle infrastrutture: nessun nuovo carburante può diventare di uso comune se manca un’adeguata rete per il rifornimento. Anche in questo caso, mentre i governi accusano un’imbarazzante inerzia, si stanno cominciando a muovere le case: Toyota, Nissan, Honda e altre otto aziende giapponesi hanno siglato un accordo di collaborazione per realizzare nel loro Paese una capillare rete di stazioni di idrogeno per il rifornimento dei veicoli con celle a combustibile.
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