È noto che le aree marine protette hanno effetti positivi sulla fauna marina, eliminando o riducendo gli effetti diretti della pesca, ma la novità è che sono anche in grado di mitigare l’impatto delle ondate di calore.
Lo dimostra uno studio internazionale, pubblicato sulla rivista Nature Communications e coordinato dall’Università di Pisa, che ha riguardato 2269 specie di pesci costieri che vivono in 357 siti interni alle aree marine protette e 747 siti esterni, e che si basa sui dati provenienti da oltre 70mila osservazioni in intervalli temporali che vanno da un minimo di 5 a un massimo di 28 anni.
Tutta questa mole di informazioni ha evidenziato come nelle aree protette le popolazioni di pesci siano più abbondanti e funzionalmente strutturate rispetto alle aree non protette e come ciò conferisca stabilità alle comunità anche in presenza di eventi climatici estremi. Come le ondate di calore che interessano sempre più i mari del nostro pianeta, con un drammatico innalzamento della temperatura dell’acqua di 4 o 5 gradi per diversi giorni. In questo contesto i pesci erbivori tendono ad aumentare mentre i carnivori, come squali, barracuda, cernie o dentici, sono invece più minacciati. Ciò può portare al collasso dell’intero sistema, sino all’estinzione locale di alcune specie, ma questi effetti sono molto mitigati dalle aree marine protette.
«Le proiezioni – spiega il professor Lisandro Benedetti-Cecchi del Dipartimento di Biologia dell’ateneo pisano, primo autore dell’articolo – suggeriscono che i cambiamenti nel clima oceanico, di cui le ondate di calore sono espressione, si acutizzeranno nei prossimi decenni e che gli attuali tassi di riscaldamento supereranno presto il margine di sicurezza termica di molte specie. L’allarme è maggiore per il Mar Mediterraneo, che si sta riscaldando a un ritmo pari a tre volte quello dell’oceano globale».
È evidente quindi l’importanza delle aree marine protette come supporto alle politiche di conservazione della fauna marina articolate nelle varie direttive internazionali, secondo le quali entro il 2030 almeno il 10% della superficie degli oceani dovrebbe essere sottoposta a protezione.
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