Molte volte un luogo si lega per sempre a noi tramite un ricordo particolare che si accompagna con l’immagine di qualcuno. Ecco che affetti famigliari e natura formano uno speciale connubio da cui prendere energia.
Il poeta indiano Tagore, come sempre, riesce a regalarci delle immagini vere ancora oggi e valide anche per noi, pur essendo un suo personale ricordo: un suo viaggio sull’Himalaya con il padre. Colpisce nella fattispecie il fatto che solitamente di questa ben nota catena montuosa si cerca di testimoniare la grandezza, la maestosità, l’importanza che ha nel mondo, i vari record registrati dagli alpinisti e tanto altro.
Certo, Tagore ha in mente l’imponenza maestosa di quelle vette, ma riesce a cogliere un elemento che oggi si sottovaluta molto: la catena dell’Himalaya dona alla terra / la formula magica del sorriso. Un sorriso provocato dalle sorgenti della catena montuosa: si sa, l’acqua dona la vita e quindi la gioia, la speranza. Ma, andando in metafora, la qualità del sorriso potrà essere compresa e valorizzata da ciascuno e come già sappiamo è un dato di fatto: la natura può influenzare la nostra vita, il nostro animo, forse proprio perché, essa possiede in qualche modo un’anima, una grande anima universale. Si potrà pensare che si stia esagerando, ma ci sono troppe testimonianze di grandi civiltà, di grandi viaggiatori, di magnifici luoghi abitati da altre creature (in un certo qual modo migliori di noi in quanto ricchi di un’innocenza originaria) per non credere che la Natura sia solo una cosa pronta all’uso.
Non è un caso se Tagore pone in risalto una caratteristica che non dobbiamo mai dimenticarci di trasmettere: la natura è portatrice di messaggi eterni. Spesso si dice che noi siamo qui, su questa terra per lasciare un messaggio; ebbene, anche la natura ha il suo messaggio da trasmettere e se pensiamo ad esempio alle piante l’aggettivo eterni calza quasi alla perfezione, notando che le piante sono creature molto più antiche (come specie) e longeve dell’uomo.
Ero giovane allora. Il papà mi aveva portato con sé a Dalhousie sull’Himalaya. Al mattino uscivo con un bastone in mano e dopo pranzo riposavo in albergo. Ricordo ancora i venditori di bastoni che scaricavano la merce lungo la strada. Da una grotta fatta di pietre scendeva a valle un corso d’acqua, che sin dal primo incontro mi incuriosì con il suo mistero. Non mi stancavo di ammirare lo splendore dorato delle messi che degradavano lentamente sul lato destro della montagna. “In quest’oro però – mi dicevo – non c’è segno di movimento, mentre quest’acqua si unisce a un fiume per poi perdersi chissà dove”. Non dimenticherò mai quel primo incontro.
[…]
O tanto profonda Himalaya,
la tua dura fatica sciogliendosi
dona alla terra
la formula magica del sorriso,
portatrice di messaggi eterni;
viatico inesauribile sulla via del moto,
affermazione di coraggio,
esultante, infaticabile, invincibile.
Tagore, 13 aprile 1928
Il bello sarà che l’Himalaya di Tagore potrà essere scovata da noi anche a qualche ora da casa, vicina a noi, basta alzare lo sguardo.
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