Un team internazionale di ricercatori è partito dal controverso tema dei “piedi piatti”, una condizione diffusa, caratterizzata da un appiattimento più o meno accentuato dell’arco longitudinale mediale, le cui definizioni cliniche non hanno in realtà un ampio consenso. «Il piede umano è uno dei più complessi capolavori dell’evoluzione, un’opera d’arte della biomeccanica: non è solo una struttura che ci permette di camminare, correre e saltare, ma è un vero e proprio testimone del nostro passato e del nostro presente» dice Rita Sorrentino, ricercatrice al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna.
Rita Sorrentino è la prima autrice di un ampio studio, pubblicato su Communication Biology, dal titolo “Morphological and evolutionary insights into the keystone element of the human foot’s medial longitudinal arch”.
L’attività di ricerca multidisciplinare – che ha coinvolto anche studiosi dell’Istituto Ortopedico Rizzoli e dell’Università di Pisa – si è concentrata sull’arco longitudinale mediale del piede: una caratteristica unica che differenzia la nostra specie, l’Homo sapiens, dai primati non umani.
L’arco longitudinale è un adattamento funzionale che permette al piede di passare da ammortizzatore a leva durante le fasi di contatto e distacco con il terreno: un meccanismo che ci permette di avere una camminata bipede efficiente.
Nonostante la sua rilevanza, non è però ancora chiaro quando questa caratteristica sia comparsa nel corso della nostra storia evolutiva.
Lo studio offre un nuovo punto di vista sull’evoluzione del piede umano e sulla sua variabilità, contribuendo alla nostra comprensione di come questa parte del corpo si sia adattata alla locomozione bipede.
La morfologia dei “piedi piatti”
A complicare ulteriormente il quadro c’è il tema dei “piedi piatti”: una condizione diffusa, caratterizzata da un appiattimento più o meno accentuato dell’arco longitudinale mediale.
Per cercare di trovare risposte, gli studiosi si sono concentrati in particolare sul ruolo dell’osso navicolare, la chiave di volta dell’arco longitudinale mediale del piede.
«I risultati di questo studio mettono in luce che la morfologia del navicolare varia in modo significativo tra gli individui con piedi piatti e quelli con arco longitudinale ben sviluppato» spiega Maria Giovanna Belcastro, professoressa al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna e coordinatrice del lavoro.
Uno sviluppo, questo, che solleva interrogativi sulla natura dei piedi piatti congeniti, suggerendo che possano rappresentare una variante normale della morfologia del piede.
Fossili a confronto
L’indagine ha messo a confronto la struttura dei nostri piedi con i fossili di Homo sapiens antichi e di altre specie umane del passato.
«Alcuni dei fossili analizzati, come quelli di Homo floresiensis, Australopithecus afarensis e Homo naledi, mostrano caratteristiche nel navicolare più simili a quelle dei grandi primati non umani, suggerendo un adattamento a uno stile di vita sia arboreo, sia bipede» spiega Stefano Benazzi, professore al Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna (Campus di Ravenna), tra i coordinatori dello studio.
«I fossili di Homo habilis sembrano avere invece una configurazione più simile ai piedi degli esseri umani moderni, indicando una possibile presenza dell’arco longitudinale; questo non esclude però la possibile presenza di un piede piatto simile agli attuali piedi piatti congeniti, vista la somiglianza e vicinanza morfologica del navicolare con quella degli individui che presentano un arco longitudinale sviluppato del piede».
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