La prima parte è pubblicata qui
Pietro Greppi – Come sono cambiati gli umori delle persone rispetto ai primi mesi di guerra?
Luca Steinmann – Posso dire che tornando qui in ottobre dopo esserci stato in agosto, l’umore di alcune persone è cambiato negativamente: si sono resi conto che su molti fronti la Russia è in difficoltà, soprattutto a seguito della controffensiva ucraina di settembre nella regione di Kharkiv e che quindi la guerra andrà avanti per le lunghe, che è una delle cose che fa più paura.
Nella regione di Lugansk, per esempio, durante i primi mesi di guerra il fronte era avanzato molto a favore dei russi, cosa che aveva allontanato il rischio dei bombardamenti da alcune zone. Ora, con la controffensiva ucraina, queste zone sono tornate a essere esposte al fuoco. A prescindere dalle opinioni politiche che gli abitanti di questi territori possono avere (ci sono sia filorussi, ma anche filo ucraini) sono tutti esausti e vorrebbero solo che questo inferno finisse.
Appena arrivato ho incontrato casualmente per strada un soldato che avevo già conosciuto e alla domanda “come va?” ha risposto che avrebbe potuto andare meglio. Questo perché, come dicevo, l’esercito ucraino è molto bene addestrato. Ne parlavo anche con un soldato del gruppo Wagner che ha combattuto in Siria, Sudan, Libia, Repubblica centroafricana… Mi diceva che questa è una guerra particolare perché il nemico è simile a lui, parla la sua stessa lingua, è ben attrezzato ed equipaggiato e molto motivato. Questo certamente non facilita il compito all’esercito russo e non comporta un miglioramento delle condizioni della popolazione civile del Donbass.
P.G. – Si parla molto del Donbass come di un territorio filorusso. Quanto c’è di vero in questo?
L.S. – È sicuramente vero che gran parte della popolazione che vive nei territori che dal 2014 sono indirettamente controllati dai russi è loro favorevole. Nella gente comune vedo però molta poca ideologia e invece molto pragmatismo. Chi ha vissuto per otto anni sotto le amministrazioni filorusse era continuamente esposto ai bombardamenti dell’esercito ucraino, per questo in molti hanno guardato alla Russia come a una fonte di speranza e di salvezza dalla situazione disperata in cui si trovavano. Quindi, all’inizio della guerra molti civili accoglievano l’arrivo dei russi, da un lato con paura perché si andava incontro alla guerra, ma dall’altro con la forte speranza che finalmente gli otto anni terribili – dal 2014 ad oggi – sarebbero terminati e che finalmente la linea del fronte si sarebbe spostata… Ebbene, queste speranze sono risultate finora piuttosto vane per quanto riguarda molti territori del Donbass. Mi riferisco soprattutto alla città di Donetsk in cui ho passato molti giorni negli ultimi tempi. Lì la linea del fronte non si è spostata in maniera rilevante e quindi in molti si interrogano sull’efficacia e sul senso di questa operazione speciale militare, come la chiamano i russi. I malumori però difficilmente si traducono in una benevolenza nei confronti dell’esercito ucraino che sta continuando a bombardare a tappeto la città di Donetsk da due mesi a questa parte, generando diverse vittime civili. L’esercito ucraino viene visto come la principale minaccia e gran parte della popolazione pensa che solo i russi possano salvarli.
Al contempo va sottolineato come gli umori nei confronti dei russi da parte di alcune fette di popolazione siano negativi nei nuovi territori che Mosca ha conquistato a partire dallo scorso febbraio. Questo vale sia per il Donbass, che per l’Ucraina meridionale. Mi sembra che anche in questo caso i malumori derivino da un grande pragmatismo. Molte persone raccontano che prima della guerra vivevano bene e in pace sotto l’Ucraina. L’arrivo dei russi ha significato l’arrivo delle bombe, con le gravi conseguenze che conosciamo: morte, famiglie divise, fughe di massa. Più volte ho sentito dei cittadini rivolgersi così ai soldati russi: «Io sono sempre stato con voi, ma il vostro arrivo ha distrutto tutto quello che avevo. Sarebbe stato meglio se non foste venuti».
P.G. – Hai detto di aver notato una forte differenza fra gli armamenti russi e quelli ucraini. Era così anche all’inizio della guerra o la situazione si è capovolta grazie all’intervento della NATO?
L.S. – No, premesso che non sono un esperto in materia militare, devo dire che non l’avevo notato all’inizio. Posso fare un esempio concreto. Io sono stato su due fronti, in cui ho potuto notare questa forza tecnologica ucraina: nel territorio a nord di Lugansk e intorno ad Avdieevka, vicino a Donetsk. Soprattutto qui abbiamo visto e sentito più volte dei droni ucraini volare sopra di noi, in parte venendo poi abbattuti dalla contraerea russa. Immaginiamo di essere in una trincea con l’esercito nemico a qualche centinaio di metri davanti a noi e di sentire continuamente il ronzio di questi droni nell’aria attraverso i quali il nemico ti osserva, ti riconosce, vede i tuoi spostamenti e ottiene informazioni su come e dove colpirti con bombe e missili. Ciò genera una sensazione di vulnerabilità, se non di impotenza nel soldato osservato. E mostra quanto determinante sia in questa guerra la dimensione tecnologica. Mobilitare milioni di soldati potrebbe non bastare, la discrepanza tecnologica è troppo ampia.
P.G. – Quali saranno le tue prossime mosse?
L.S. – Penso di rientrare nella federazione russa e poi di tornare in Italia.
P.G. – Con tutto quello che hai raccolto in questi mesi non hai mai pensato a scrivere un libro?
L.S. – Ho scritto tanti diari e preso appunti in tutti questi mesi. Penso che siano delle testimonianze di getto di questa guerra vissute da questo lato così misterioso del conflitto. Mi piacerebbe farne qualcosa in futuro. Vedremo.