Erano quasi le otto di sera quando uscii dall’ambulatorio. Una volta arrivato a casa dei miei genitori, che mi aspettavano con impazienza per via del mio ritardo, mi avviai lungo il viale coperto di ghiaia verso l’entrata.
Passai accanto ai tre enormi cedri libanesi, piantati dal mio bisnonno a detta di mio padre, che dispiegavano con magnificenza le loro possenti fronde.
Nel tronco di uno di questi si era aperta, nessuno sapeva con esattezza quando, una grande fessura che a me sembrava l’accesso a un mondo segreto.
Quando ero bambino, forse per via del libro “Il leone, la strega e l’armadio”, mi nascondevo dentro e, convinto che lì nessuno mi avrebbe trovato, m’immaginavo di aver scoperto un portale magico in versione arborea.
Quando entrai in casa, mi accolsero l’abbaio e lo scodinzolio festosi di Cacao, il mio cane dalla coda spumeggiante e bianca. Non lo vedevo da una settimana, ma era come se ci fossimo appena lasciati.
Cacao mi si lanciò addosso e io lo strinsi a me, mentre lui continuava a uggiolare e cercare di leccarmi il viso.
Dalla soglia della cucina fece capolino la testa di mia madre che mi disse: «Sei arrivato, finalmente! Sbrigati che è quasi pronto!».
«Chiamo veloce una cliente e arrivo», le risposi io sorridendo.
«Pronto, Maddalena? Sono Stefano. Scusami ma stavo guidando. Cosa succede?».
«Ciao Stefano, scusa se ti disturbo ma alla mia Lucky, una splendida cagnolona di razza Golden Retriever, lacrimano molto gli occhi da questa mattina – spiegò la paziente – . Le posso dare del collirio?»
«Prima voglio vederla. Domani mattina portamela in ambulatorio così vediamo che succede. Ma le hai già dato qualcosa?», chiesi dubbioso.
«Le ho dato un po’ di camomilla», mi spiegò.
«Le hai fatto degli impacchi?», domandai subito.
«Ma quali impacchi! Io gliela faccio bere che poi va in circolo e qualcosa farà, no?», mi rispose con convinzione Maddalena.
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