Era un tardo pomeriggio di un giorno d’inizio primavera e, sebbene un timido sole, la temperatura era ancora piuttosto bassa. Ero rientrato da poco a casa dopo un’intensa giornata lavorativa e sedevo nella mia poltrona, ben appoggiato alla spalliera e, mentre riflettevo sulle cose da fare nella serata, scorrevo un dito lungo la mascella con aria pensierosa. Di fronte a me fiammeggiava un gran fuoco di legna nel camino marmoreo, e Cacao, il mio cane, sedeva davanti al focolare con aria incuriosita per via dei piccoli lapilli incandescenti che colpivano il vitreo parascintille.
Il divagare dei miei pensieri fu interrotto dalla suoneria del telefono che avevo lasciato nello svuotatasche in ceramica all’ingresso di casa. Mi alzai e mi avviai per rispondere alla chiamata.
Era stata una chiamata lunga e piuttosto insistente, e, mentre traversavo lentamente l’atrio, si udì un altro trillo impaziente.
Presi in mano il telefono e risposi al numero sconosciuto.
«Pronto, chi parla?»
«Buongiorno dottore, mi scusi se la disturbo a quest’ora, ma dovrei dare la medicina al mio cane Tommy e non so come fare” mi rispose una donna di mezz’età, o almeno così mi sembrò di capire dal timbro e tono della voce.
«Quale medicina, signora?»
«Non lo so»
«Ha una ricetta, un foglio del collega, qualcosa che dice quale farmaco e con quale posologia?»
«No»
«Si ricorda almeno per cos’era?»
«No»
«Che problema ha il suo animale? Gastroenterico, respiratorio o altro?»
«Nessuno»
«Ma ogni quanto la fa o dovrebbe farla questa terapia? Magari si ricorda dalle volte precedenti?»
«Mai fatta prima»
«Dove ne ha sentito parlare? Si ricorda il medico che ha prescritto questa medicina?»
«Non ricordo»
«Signora guardi, forse è meglio che venga domani in ambulatorio con Tommy».
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