Soddisfiamo subito la curiosità di chi si starà chiedendo chi possa essere questo strano organismo fotografato da Francesco Pacienza si tratta di un mollusco nudibranco ed è stato paragonato ad un’astronave aliena, una definizione che, paradossalmente, ha un fondamento di verità. Da un lato dimostra quanto poco sappiamo degli abitanti del mare, se per descriverli dobbiamo ricorrere a Star Trek, e dall’altro questo mollusco è davvero un alieno. Ovviamente quest’affermazione ha bisogno di una spiegazione che cercherò di condensare in poche righe. È ormai noto che il Mediterraneo, come altri mari, è soggetto all’invasione di specie che gli zoologi definiscono come aliene o non indigene. Si tratta d’organismi un tempo assenti nei nostri bacini e che stanno arrivando, sempre più numerosi, soprattutto per effetto del progressivo riscaldamento del nostro mare. Questo nudibranco, noto come Melibe viridis o fimbriata, può essere definito, e a buona ragione, una specie aliena perché la sua distribuzione, prima della sua comparsa in Mediterraneo, comprendeva unicamente l’Oceano Indiano e parte del Pacifico occidentale da cui sembra essere giunta, secondo gli esperti, approfittando delle acque di zavorra di qualche nave, uno dei sistemi di diffusione preferiti dalle specie invasive.
Tale ipotesi sembra suffragata dal fatto che il nudibranco non è ancora stato segnalato in Mar Rosso, il mare da cui, invece, proviene – attraverso il canale di Suez – la maggior parte delle specie aliene oggi segnalate nei nostri mari.
In acque mediterranee, la Melibe è stata segnalata per la prima volta nel 1970 e, da allora, ha lentamente ampliato il suo areale, che oggi abbraccia tutto il Mediterraneo centro-meridionale, dalle regioni del Sud della nostra penisola fino alle coste comprese tra la Tunisia e la Turchia.
Chi è la melibe
Ora che sappiamo di chi si tratta e da dove viene, è il momento di conoscere meglio questo mollusco. Simile ad un ciuffo di alghe, questo grosso nudibranco (può, infatti, raggiungere i 14-16 cm di lunghezza) presenta un corpo traslucido, piatto e allungato, costellato di papille, tubercoli, branchie ramificate e, soprattutto, una decina di paia di grandi appendici dorsali (tecnicamente chiamate cerata) a forma di pala che rendono difficile la lettura della sagoma generale dell’animale; soprattutto quando è posato sul fondo, in mezzo alle alghe, è davvero difficile da distinguere. Il suo capo è contraddistinto da un’enorme espansione che forma una sorta di cappuccio (il cosiddetto velo orale) attorno alla bocca. Questa struttura funziona come una bocchetta di aspirapolvere e come tale funziona, risucchiando gamberetti e altri piccoli organismi mentre l’animale avanza strisciando sul fondo. Si tratta, dunque, di un predatore che, per di più, non ha nemici perché, in caso di pericolo, può amputarsi i cerata e secernere dalla ferita così prodotta una sostanza mucosa e tossica che scoraggia qualsiasi attacco. Forse nel suo ambiente d’origine ha qualche nemico, ma nel nostro Mediterraneo la Melibe non sembra averne e può, pertanto, continuare la sua invasione silenziosa con effetti, se ce ne saranno, sugli abitanti dei nostri mari, che nessuno sa ancora prevedere.
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