Alcuni ecosistemi forestali godono di una notorietà sorprendente. Quasi tutti hanno sentito parlare della foresta pluviale amazzonica o, rimanendo alle nostre latitudini, della faggeta. Esistono invece ecosistemi “dimenticati”, sconosciuti anche a molti esperti di ecologia e botanica.
Il caso più eclatante è quello del miombo, il più esteso ecosistema di foresta secca d’Africa e, probabilmente, del mondo. L’ecoregione del miombo occupa 2,7 milioni di chilometri quadrati e si ritrova principalmente in Tanzania, Malawi, Mozambico, Zambia, Repubblica Democratica del Congo, Angola e Zimbabwe.
”Miombo” è una parola swahili utilizzata per identificare alcune specie che appartengono al genere Brachystegia che, insieme ai generi Isoberlinia e Julbernardia, caratterizza queste formazioni forestali. Molte delle specie arboree più comuni sono caducifoglie non spinose, formano simbiosi con funghi basidiomiceti e sono ottime piante mellifere.
Il miombo si insedia tipicamente su suoli poveri di nutrienti e di sostanza organica e, per questo motivo, gli alberi che superano i 20 metri di altezza sono piuttosto rari. Anche la ricchezza di specie vegetali ed animali è minore se comparata a quella di foreste che vegetano in zone più umide e su suoli più fertili.
Diversamente tropicale
Il miombo è, quindi, molto diverso dalla “foresta tropicale”, umida ed impenetrabile, che risiede nell’immaginario comune. Sta di fatto che anche il miombo sa regalare scorci di indimenticabile bellezza, specialmente a partire da agosto, quando spuntano le nuove foglie e il bosco si colora di toni che vanno dal salmone al rosso fuoco. Anche David Livingstone ne rimase colpito: trovatosi di fronte ad una distesa di miombo di cui non scorgeva la fine scrisse sul suo diario di non trovare le parole per descrivere tanta bellezza e rigogliosità.
Un rapporto inestricabile
Non bisogna dimenticare che il miombo rappresenta anche la principale fonte di cibo, piante medicinali, materiale da costruzione ed energia per almeno quaranta milioni di persone.
Il rapporto tra ecosistema e uomo è inestricabile al punto che senza i continui “disturbi” antropici, nelle zone più fertili, il miombo evolverebbe probabilmente verso formazioni forestali sempreverdi. Tradizionalmente, la vegetazione viene rimossa periodicamente per aprire piccole superfici da mettere a coltura che, dopo alcuni anni, vengono lasciate a riposo dando il tempo al bosco di insediarsi nuovamente e di ripristinare la fertilità dei suoli. Dopo alcuni decenni, gli alberi e gli arbusti verranno nuovamente rimossi e il ciclo ricomincerà. Si tratta del sistema di gestione conosciuto come “slash-and-burn” (taglia e brucia) che, se adottato rispettando le tempistiche necessarie per permettere il ripristino della vegetazione e della fertilità, è sostenibile.
Qualcosa è cambiato
Un equilibrio durato fin da quando i primi agricoltori si sono sedentarizzati nella zona, ma che è adesso in serio pericolo a causa dell’aumento demografico, della transizione un’agricoltura per l’autoconsumo ad una di tipo commerciale e dei cambiamenti climatici.
Negli ultimi 15 anni, in alcune zone, è scomparsa fino al 13% della superficie forestata. La pressione sulle risorse del miombo e gli interessi sui territori che occupa sono in costante crescita. È allora arrivato il momento di dedicare a questo utile e delicato ecosistema l’attenzione che merita e impegnarsi per preservarlo. È nell’interesse di tutti e non soltanto di quanti ci vivono e che, fino ad oggi, hanno saputo utilizzare in maniera sostenibile i prodotti e i servizi che offre.
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