Diviso in sei zone (ranges) e caratterizzato da una natura molto varia – che va dalla giungla alle paludi, dalla savana alle alture rocciose – il Parco nazionale di Bandhavgarh ospita circa 50 esemplari di tigre del Bengala (Pantera tigris tigris) distribuite su un territorio di circa 600 kmq, la più alta densità al mondo per questo felino.
Situato nel distretto di Umaria, nel Madhya Pradesh, il Parco è una ex riserva di caccia del Maharaja di Rewa.
Bandhavgarh significa “fortezza dei fratelli”. La leggenda vuole che il Dio Rama abbia eretto qui, nel cuore dell’India, un forte – di cui ancora si vedono le rovine sull’altura che domina il parco – per poi donarlo al fratello. Successivamente il Dio avrebbe scagliato una freccia al suolo originando una forte depressione, dove oggi si estende il Parco Nazionale di Bandhavgarh.
Oltre alla tigre del Bengala, qui trovano protezione anche piccoli cervi pomellati (chital), enormi cervi sambhar, scimmie langur, macachi, sciacalli, volpi, lupi, cani selvatici, orsi labiati, leopardi, cinghiali e oltre 250 specie di uccelli.
Tra gli animali più a rischio di estinzione, le tigri del Bengala sono minacciate soprattutto da bracconaggio e perdita dell’habitat. Se da una parte troviamo cacciatori pronti a tutto pur di guadagnare gli oltre 500.000 dollari garantiti dalla vendita sul mercato clandestino delle ossa e della pelle della tigre, grazie all’appoggio di trafficanti di droga e terroristi, il pericolo maggiore è dato dalla progressiva distruzione dell’ambiente dovuta alla conflittualità esistente fra questo animale e le popolazioni locali.
Degli 8-10 esemplari uccisi ogni anno nel parco di Bandhavgarh, infatti, solo una parte è attribuibile al bracconaggio. Spesso si tratta di vendette degli abitanti dei villaggi a cui la tigre, in una sola notte di caccia, ha portato via tutto ciò che possiedono.
In cerca della tigre
Osservare la tigre non è così facile come dirlo. Bisogna prima trovarla. La natura elusiva dell’animale, la vastità del Parco e l’impenetrabilità della giungla, infatti, rendono la cosa tutt’altro che facile.
Per non parlare delle ferree regole stabilite dall’Ente foreste: per minimizzare l’impatto sull’ecosistema, a ogni fuoristrada viene assegnata all’ingresso nel Parco una pista da percorrere all’andata e al ritorno, dalla quale non è possibile deviare.
Questo significa che bisogna sperare di riuscire ad avvistare la tigre sulla strada assegnata. Non solo: non è possibile tornare indietro o fermarsi troppo a lungo nello stesso posto.
Confido in Pappù, la guida che mi è stata raccomandata come “la miglior guida del Madhya Pradesh, forse dell’India intera!”.
Iniziamo la nostra ricerca fermandoci spesso per controllare le tracce, ascoltando i richiami degli animali, annusando l’aria.
Tutto qui parla di lei anche se non si vede. A un tratto il langur di guardia lancia il grido di allarme: «Kha! Kha! Kha!» e in un istante tutte le scimmie sono sugli alberi. Sterziamo bruscamente su una pista secondaria e spegniamo il motore. Pappù indica col dito un varco nella vegetazione a pochi metri.
Dopo un minuto la tigre appare, ci fissa maestosa per qualche secondo e poi sparisce senza darmi il tempo di fare neanche uno scatto.
Con l’aiuto dell’elefante
In seguito decidiamo di battere la zona a dorso di elefante. Il mahout incita l’enorme pachiderma, che fatica a farsi largo in una giungla tanto fitta da sembrare impenetrabile. Ma poi, usando sapientemente la proboscide come un machete, riesce lentamente a conquistare preziosi metri di terreno. Per ore giriamo in tondo, cercando faticosamente di aprirci un varco, finché scorgiamo sulla pista i “drag marks”, segno che la tigre è passata di qui trascinando una preda per consumarla nel folto della vegetazione.
All’improvviso, un richiamo agghiacciante arresta il sangue nelle vene. La giungla intera ammutolisce, nessun animale muove un muscolo e anche le foglie smettono di tremare al vento. Finalmente eccola comparire a cinque metri di distanza (in realtà, per quasi due ore è sempre stata in un raggio di 10 metri da noi!).
Sto per commettere di nuovo l’errore di rimanere folgorato da tanta bellezza, ma poi mi ricordo che sono qui per fotografare e finalmente comincio a scattare.
Sono rimasto nel Parco nazionale di Bandhavgarh diverse settimane, cosa che mi ha permesso di rivedere spesso la tigre, ma soprattutto i suoi due cuccioli.
Alternando l’uso della jeep e dell’elefante siamo riusciti a passare molte ore in compagnia dei piccoli, osservandoli giocare e arrampicarsi sugli alberi. Incuriositi, facevano la spola tra il fitto della vegetazione e la radura, consentendoci così di scattare a volontà per diverse ore. Un fatto molto raro perché di solito l’avvistamento dura un attimo. Dopo il quale, della tigre, non rimane che il sentore.