Un’equipe di etologi dell’Università di Pisa ha monitorato per otto anni – dal 2008 al 2016 – lo spostamento di otto individui di tartarugha Caretta caretta all’intero dei mari italiani per comprendere le loro preferenze in fatto di località.
I dati raccolti, pubblicati sulla rivista Marine Biology, hanno offerto una mappa unica dei luoghi prediletti dalle tartarughe, fornendo anche importanti dati per la conservazione della specie.
Le zone preferite
Gli animali, tutti individui giovani e di taglia medio grande – vale a dire con un carapace più lungo di 60 centimetri – sono stati dotati di piccole trasmittenti che impiegavano il sistema satellitare Argos.
I dati raccolti hanno permesso di individuare le zone favorite. Crudelia, Obelix, Olivia e Honolulu, questi i nomi di alcune di queste tartarughe, hanno dimostrato di amare soprattutto il golfo di Napoli, ma spaziano anche nell’area compresa tra la Campania, la Calabria e la Sicilia, dimostrando una preferenza anche per le seamounts, vale a dire le montagne sottomarine la cui sommità può arrivare a poche centinaia o decine di metri dalla superficie.
«L’identificazione di una zona marina utilizzata preferenzialmente dalle tartarughe fornisce informazioni utili non solo per migliorare la conoscenza scientifica di fasi poco conosciute del ciclo di questa specie, ma anche per suggerire possibili misure di conservazione e tutela nella stessa area, ad esempio attraverso la diffusione di informazioni tra i pescatori sul tipo di reti e ami da impiegare per la pesca», ha spiegato il professor Paolo Luschi dell’Ateneo pisano.
L’importanza dei centri di recupero
Le otto tartarughe che hanno preso parte al progetto erano state catturate accidentalmente e riabilitate in centri di recupero in Toscana e Campania.
Dopo il rilascio in mare aperto, che è avvenuto vicino alle rispettive località di cattura, le Caretta caretta hanno raggiunto velocemente l’area compresa tra la Sicilia, la Sardegna e la costa occidentale della penisola Italiana, rimanendovi per tutto il periodo di osservazione.
«È importante sottolineare il fatto che gli individui studiati, che erano rimasti in riabilitazione nei centri di recupero per vari mesi prima del rilascio, non abbiano mostrato alcuna evidente alterazione del loro comportamento a seguito del periodo di degenza», ha concluso il professore Luschi.
La ricerca è stata finanziata dall’Università di Pisa con i fondi PRA, dalla Regione Toscana e dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli e condotta in collaborazione con il Centro per la conservazione delle tartarughe marine di Grosseto.
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