Incrociando per strada i soliti disperati che chiedono la carità mi sono spesso chiesto cosa si potrebbe fare per aiutarli in modo concreto e non assistenziale.
Parlando con loro ti accorgi che la prima cosa che cercano (al di là di un pò di denari) è un lavoro per potersi costruire un futuro. Niente di nuovo dunque: le richieste sono praticamente le stesse, sia per molti disoccupati italiani che stranieri.
Esiste però un settore in espansione dove è richiesta sempre manodopera anche non specializzata per dei lavori pesanti: è quello dell’agricoltura. Un comparto in cui, a parte la disponibilità a fare fatica, incombono da sempre una serie di problemi inerenti il reclutamento di manodopera, soprattutto se straniera. Mi riferisco al caporalato ed allo sfruttamento della manovalanza, spesso assunta senza alcuna garanzia.
Contro questo stato di cose è nata la Rete Agricoltura Sociale Lombardia, che promuove un insieme di pratiche che coniugano l’aspetto imprenditoriale dell’agricoltura con un programma di sviluppo orientato ai valori sociali, all’inclusione di persone con disabilità o in situazioni di difficoltà ed allo sviluppo delle comunità locali. Si tratta di un progetto che nasce in particolare con le seguenti finalità:
-sviluppare e promuovere un nuovo modello di azione che mira all’inclusione socio-lavorativa di persone con disabilità e in situazioni di difficoltà;
-promuovere la costruzione di una rete tra realtà agricolo-sociali lombarde e sostenere i suoi componenti;
-promuovere il loro prodotto di qualità;
-proporre un modello innovativo di agricoltura sociale che mantiene le sue radici nella tradizione.
I destinatari di questa rete-progetto sono tutti quei soggetti che normalmente nessuno vuole per questo ma anche per quasi tutti i lavori, ovvero persone con disabilità psichiche o fisiche, detenuti e/o ex detenuti, tossicodipendenti e/o ex tossicodipendenti, rifugiati/immigrati, minori a rischio, donne in difficoltà, anziani. Insomma, tutti coloro che la nostra società considera di solito come “inutili”, “problematici” o a “fine corsa”. Ovvero, per dirla in maniera schietta e un po’ brutale, i cosiddetti “scarti” della nostra società.
Il progetto nasce nel 2012, quando la Provincia di Mantova iniziò ad investire sul potenziamento dell’Agricoltura Sociale come strumento per l’inclusione lavorativa e sociale e per lo sviluppo di nuova imprenditorialità. Da allora si è progressivamente creata negli anni una spinta che ha portato alla nascita sul territorio lombardo di reti articolate di collaborazione con il mondo agricolo locale, il sistema scolastico, il sistema dei servizi socio- assistenziali e il sistema dei servizi al lavoro, che è “emerso” a livello formale ed ufficiale in coincidenza con EXPO 2015, quando tutte le 12 Province lombarde hanno aderito al progetto.
Peraltro – ad oggi – solo in sette di esse sono stati effettivamente censiti soggetti imprenditoriali di questo tipo, per lo più rappresentati da cooperative sociali e da piccole Onlus impegnate in campo agricolo. La mappatura degli ultimi territori provinciali aderenti comunque ancora continua ed al momento attuale (marzo 2016) le nuove realtà agrisociali mappate sono comunque già 54, con una particolare concentrazione nei territori attorno a Milano, Bergamo, Varese, Como e la Brianza.
Un progetto intelligente ed utile dove una volta tanto le istituzioni si sono fatte promotrici ed hanno saputo creare sinergie e collaborazioni tra tante diverse realtà, facendo rete.
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