L’agroecologia è un sistema che mette in connessione le comunità con la terra e con tutto quello che i territori esprimono nelle diverse essenze di vita, biodiversità, esperienze di convivenza e dialogo tra gli elementi naturali – ma anche tra saperi, pratiche e relazioni.
Oggi è sempre più diffuso il bisogno di un “ritorno alla terra” che non significhi soltanto re-imparare a fare con le mani ri-costruendo una relazione con la natura, ma anche rallentare, adottare ritmi di vita più simili a quelli naturali, ciclici, nel rispetto degli ecosistemi non solo ambientali ma anche umani, sensoriali, emotivi.
Su questi aspetti abbiamo intervistato Matteo Rossi, presidente della cooperativa sociale Liberi Sogni Onlus che, durante il primo lockdown di marzo e aprile 2020, ha scommesso nella gestione allargata e condivisa di Cascina Rapello ad Airuno (LC), una cascina abbandonata e da ristrutturare immersa nel verde con terrazzamenti, campi da coltivare e sette ettari di bosco di cui prendersi cura.
di Sofia Bolognini
Il concetto di limite che ci riporta alla sostenibilità
Quello dell’agroecologia è un modello molto antico che si basa su tecniche maturate nella connessione profonda tra le comunità e i territori, i luoghi e soprattutto i limiti che segnano i luoghi. “Oggi il concetto di limite viene comunemente considerato con un’accezione negativa” dice Matteo “in realtà è bene ricordare sempre che ogni cosa ha un limite. Hanno un limite la velocità, la confidenza, la vita stessa, tutto quello che facciamo”.
“Credo sia una questione di immaginario. Mio padre, vissuto a Monza, negli anni 50, all’uscita da scuola, andava a fare il bagno nel Lambro coi suoi amici”, aggiunge, “Oggi una cosa del genere sarebbe fuori dalla nostra immaginazione, perché i fiumi sono inquinati: i fenomeni di spogliazione e depredazione che hanno distrutto il rapporto tra noi e la natura sono la conseguenza diretta di un modello di sviluppo in-sostenibile, ovvero senza limiti ”.
Non si tratta solo di perdita di biodiversità intesa come specie animali e vegetali, ma anche di biodiversità umana, ovvero di quell’insieme di proverbi, linguaggi e tradizioni locali che fanno l’identità di un territorio.
La disconnessione tra le persone e i territori e la perdita di autonomia
“Boschi abbandonati e fiumi inquinati sono l’esito di un processo di allontanamento tra le comunità e i territori; oggi senza navigatore le persone non sanno dove andare, non conoscono i luoghi in cui vivono e lavorano. Vi è una sorta di disconnessione, che è anche una ferita dentro e fuori di noi. Tutto quello che consumiamo arriva da luoghi, persone e filiere lontane e sconosciute e la sovranità alimentare è in mano a grandi multinazionali che operano secondo l’andamento di leggi di mercato oscure e incomprensibili che di certo non tutelano la vita”.
“I segnali che la terra ci manda tra tempeste incredibili, scioglimento dei ghiacciai e primule che sbocciano a gennaio, testimoniano in maniera abbastanza chiara che qualcosa non sta funzionando e che la nostra presenza sul pianeta è in pericolo”. La disconnessione tra le persone e i territori ci rende vulnerabili, ma anche infelici.
La vera sfida oggi è interrogarsi su quale futuro felice possiamo vivere, investire sui sogni e ripartire dalle cose semplici eliminando tutto quello di cui possiamo fare a meno.
Dobbiamo tornare a immaginare altri mondi possibili: se l’ecologia non è nel pensiero come può esistere nella realtà?
Tornare alla terra, un processo da inventare
L’agricoltura quindi è importante sotto diversi punti di vista; innanzitutto quello materiale, perché assicura un’autonomia di risorse – cibo per vivere, acqua da bere, legna per riscaldarsi. Ma non solo: suggerisce delle possibilità, nuovi modelli di socialità, una poetica.
“Non si tratta soltanto di produrre con le proprie mani qualcosa di più genuino e più salutare da mettere in tavola, ma anche di un ritorno che ci parla di socialità, di arte, di un dialogo profondo con la terra e coi limiti”. Tornare ad occuparsi della terra, aiuta a scrollarsi di dosso un’altezzosità, un’arroganza, una tracotanza nei confronti della natura che è principio di vita per tutti e tutte, umani e non umani, e in quanto tale è sacra.
Al momento non abbiamo una ricetta né un modello. Si tratta di un processo tutto da inventare, con coraggio, fiducia nelle nostre capacità di cambiamento a partire da un ascolto profondo di quello che la natura ci dice.
L’esperienza della cooperativa
“Il primo lockdown è stata l’occasione per ripensarci come cooperativa e ridiscutere i nostri sogni e obiettivi” racconta Matteo “più tempo passavamo imprigionati in casa, più cresceva la voglia di uscire, di stare all’aria aperta, di compiere quel salto che coltivavamo nei cuori da tempo”.
“Abbiamo sempre lavorato a contatto con il verde tra torrenti, boschi e sentieri di montagna, ma volevamo che il nostro rapporto con la natura assumesse un carattere quotidiano e non solo settimanale o stagionale” racconta “così siamo approdati in una località sul Monte di Brianza, raggiungibile a piedi, con una cascina da salvare nel mezzo: un luogo da recuperare che potesse accogliere tutte le nostre progettualità in una dimensione più quotidiana”.
“Vogliamo che la relazione con questo spazio sia il più possibile ecocentrica, in punta di piedi: vogliamo ristrutturare la cascina, prenderci cura del bosco attorno, tornare a coltivare quei terrazzamenti che probabilmente risalgono al 18esimo secolo, per dialogare con la natura senza offenderla”.
Per conoscere Cascina Rapello, come partecipare o sostenere il progetto:
https://www.liberisogni.org/progetti/cascina-rapello-una-cascina-per-tutti-e/