La seconda metà del XIX secolo ha avuto tra i suoi protagonisti una generazione di straordinari naturalisti ed esploratori italiani che ha viaggiato i cinque continenti, scoprendo e descrivendo migliaia di specie animali e vegetali ai tempi sconosciute alla scienza. Tra questi, uno dei più attivi e celebrati è sicuramente il perugino Orazio Antinori (1811-1882), che fu anche uno di quelli a condurre la vita più avventurosa. La sua esistenza fu costellata di eventi rocamboleschi, battaglie, viaggi in posti leggendari e, nondimeno, tanta, tantissima natura selvaggia.
Originario di un’antica famiglia nobile perugina, Antinori si interessò da subito alle scienze naturali, ma fu anche profondamente coinvolto dai moti risorgimentali e dall’ideologia mazziniana. Combatté le truppe austriache in Veneto, dove venne anche ferito in battaglia, e poi partecipò alla formazione della Repubblica Romana nel 1848 e all’allontanamento di Pio IX. Con il rientro a Roma delle truppe napoleoniche, Antinori venne inserito nelle liste di proscrizione e fu costretto all’esilio.
Da questo evento all’apparenza negativo, però, iniziò la sua carriera di viaggiatore ed esploratore. Cominciò esplorando prima la Grecia e poi l’impero Ottomano, in cui iniziò a raccogliere reperti naturalistici di vario genere. Si spinse in Anatolia e nei territori dell’attuale Siria. Poi andò a Malta e infine raggiunse la terra che più di ogni altra lo avrebbe segnato nell’animo: l’Africa. Visitò prima l’Egitto per poi addentrarsi fino a Karthum, in Sudan, dopo aver attraversato il deserto. Questa città sarebbe divenuta il suo campo base per varie esplorazioni nell’Africa nord-orientale, in certi casi in luoghi sconosciuti, o quasi, agli europei. Fu uno dei primissimi italiani a esplorare l’Africa avendo adeguate conoscenze in campo naturalistico. Leggendario fu, in quegli anni, un suo faccia a faccia con un leone: raccontato all’amico Manfredo Camperio, questo incontro non si rivelò letale per Antinori perché seppe mantenere il sangue freddo e non mostrò sentimenti che avrebbero potuto causare un attacco. Aveva con sé un fucile virtualmente inutile perché armato a pallini piccoli, e per fortuna non ebbe necessità di utilizzarlo.
Nel 1861 Antinori finì il suo esilio africano e poté ritornare in Italia. Portò con sé le sue collezioni naturalistiche ed etnografiche, che vendette ai più importanti musei della neoformata nazione italiana. Dopo altre campagne di ricerca in Sardegna e in Tunisia, Antinori contribuì a fondare la Società Geografica Italiana, nel 1867. Poi compì altri viaggi in nord Africa, ma la spedizione più importante arrivò nel 1876, a 65 anni suonati: venne nominato Responsabile della Grande Spedizione ai Laghi Equatoriali. La destinazione era l’Abissinia, l’attuale Etiopia. Nel 1877 il Re Menelik d’Etiopia affidò allo scienziato 95 ettari per la creazione di una stazione geografica a Lét Marefià, nella regione dell’Amara. Questa sarebbe diventata il primo “Centro Studi Naturalistici” italiano fondato non su territorio nazionale.
Antinori partecipò a decine di spedizioni, ma il suo contributo più grande riguardò la natura del corno d’Africa, che esplorò a più riprese e da cui portò in Italia migliaia di reperti (oggi distribuiti tra i principali musei di storia naturale d’Italia – Genova, Firenze, Torino e Perugia, tra gli altri). Fu lì che Antinori morì il 26 agosto 1882, a 71 anni. Venne sepolto ai piedi di un antico albero di sicomoro nella piana di Lét Marefià. L’albero e il tumulo si trovano ancora lì, nel cuore verde di quell’Africa che tanto amava.
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