C’è un autore classico che è ancora oggi ricordato e celebrato per i suoi studi nel campo della medicina e della farmacia: Dioscoride, il padre dell’erboristeria. E questo grazie a un suo monumentale lavoro di ricerca e sperimentazione sulle proprietà mediche delle piante.
Dioscoride Pedanio (40 – 90 d.C.), nasce ad Anazarbo, in Cilicia (l’attuale Turchia) sotto il dominio dell’Impero Romano ai tempi di Nerone. Il suo lavoro più celebre, conosciuto con il suo titolo latino di De Materia Medica (“Sulle erbe mediche”) detiene un record piuttosto insolito: è stato con ogni probabilità il testo tecnico ritenuto scientificamente valido per il periodo di tempo più lungo. Rimane, infatti, in auge per oltre quindici secoli.
Pur rifacendosi ad autori precedenti come Crateua, Diocle di Caristo o Teofrasto, Dioscoride apportò grandi contributi alla scienza medica dei suoi tempi. Molte delle informazioni le raccolse dagli esperti locali che incontrò viaggiando insieme alle armate imperiali presso cui lavorava come medico. Visitò così diverse zone del Mediterraneo orientale, e accrebbe il suo registro di dati sulle erbe curative, partecipando a un notevole progresso delle conoscenze erboristiche del suo tempo.
Un’opera imponente
De Materia Medica era un’opera imponente, divisa in più volumi. Il primo era dedicato alle piante in grado di produrre olii e unguenti curativi. Il secondo ai cereali, ma anche a prodotti di origine animale. Il terzo e il quarto a erbe, semi e radici. Il quinto a vini e minerali. Il sesto, infine, ai veleni e a come curare i morsi degli animali.
Un lavoro maestoso, contenente l’elenco di oltre mille prodotti curativi di origine naturale. Un’enormità se confrontati con i soli 130 elencati da Ippocrate, ritenuto comunemente il padre della medicina.
Si trattava, inoltre, di un testo estremamente pratico, pronto per l’utilizzo, e questo fu forse la chiave del suo enorme successo.
De Materia Medica fu copiato e tradotto dall’originale greco in svariate lingue, compreso l’arabo, il persiano e il latino. Lo considerarono il punto di riferimento per l’erboristeria e la farmacopea fino al XVI secolo, ristampandolo e utilizzandolo regolarmente come testo di riferimento per infusi ed erbe medicamentose. Fu stampato per la prima volta nel 1478, pochi decenni dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili.
Ovviamente, dopo centinaia di trascrizioni manuali, alcuni errori cominciarono a presentarsi nelle edizioni più moderne. Non mancarono anche approssimazioni piuttosto rischiose. Spesso gli autori che riprendevano i testi originali di Dioscoride cercavano di adattare le sue indicazioni, basate su piante del bacino orientale del Mediterraneo, con vegetali simili ma provenienti da tutt’altre regioni (ad esempio in Europa centrale). Col rischio di gravi errori e prescrizioni sbagliate.
L’eco dei suoi lavori, per quanto ormai superati da metodi e conoscenze più moderne e approfondite, si spinse fino al XVIII secolo in buona parte delle università europee.
L’eredità di Dioscoride
Il britannico John Sibthorp (1758-1796), professore di botanica a Oxford, decise di riprendere gli studi originali di Dioscoride. Si recò a Vienna per studiare la più antica copia conosciuta delle opere dell’autore, il Codex Vindobonensis e, insieme all’illustratore Ferdinand Lukas Bauer viaggiò in Grecia e Asia Minore per ricercare le stesse piante che erano state studiate da Dioscoride quasi due millenni prima. Durante un secondo viaggio in Grecia, però, lo scienziato si ammalò e morì a soli 38 anni durante il suo ritorno. Rimasero i suoi testi e le sue osservazioni su migliaia di specie, oltre alle splendide illustrazioni di Bauer. Grazie al contributo di un altro studioso, John Lindley, fu completata un’opera maestosa, intitolata Flora Graeca, che è ancora adesso uno splendido tributo all’erboristeria, alla conoscenza scientifica e al maestoso lavoro di un autore che si è indubbiamente garantito l’immortalità.
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