Antonia Pozzi è una poetessa italiana nata nel 1912 e scomparsa a soli 26 anni. Pose fine alla sua breve vita suicidandosi il 13 febbraio 1938 nei pressi dell’Abbazia di Chiaravalle, alla periferia di Milano, la città dove era nata.
In vita non pubblicò nulla. Nel 1939, per volere del padre, che però manomesse gli originali, furono date alla stampa gran parte delle sue poesie: la prima edizione di Parole di Antonia Pozzi fu tirata in 300 copie, distribuite fra un selezionato gruppo di amici. Nel 1943 Mondadori ripropose il volume, e poi di nuovo nel 1948 con una prefazione di Eugenio Montale: «Si può leggerlo come il diario di un’anima e si può leggerlo come un libro di poesia».
La sua opera è stata a lungo dimenticata e una certa critica letteraria ha sempre trattato Antonia Pozzi come una voce minore, addirittura trascurabile. Di parere opposto furono Vittorio Sereni, Thomas S. Eliot e, appunto, Eugenio Montale che amarono i suoi versi.
Da tempo la vicenda umana e letteraria della Pozzi è al centro di un rinnovato interesse e a lei sono dedicati libri, mostre e film. L’ultimo di questi s’intitola Antonia, prodotto da Luca Guadagnino e diretto da Ferdinando Cito Filomarino, che ha ricevuto una menzione speciale al Festival di Karlovy Vary ed è in visione al cinema Mexico di Milano dal 19 febbraio fino a metà marzo.
C’è ancora molto da scoprire attorno all’opera di Antonia Pozzi. Uno degli aspetti che meritano una certa attenzione è il suo rapporto strettissimo con la natura, in ogni sua manifestazione: adorava la montagna, ma non solo. Sapeva immergersi nel mondo naturale osservandone gli aspetti diversi e mutevoli e registrandoli con gli occhi sorpresi e stupefatti di una bambina. L’odore del verde così diventa il profumo della sua infanzia, di quel momento mai più riproducibile, in cui il dolore non esisteva: “Odor di verde – / mia infanzia perduta – / quando m’inorgoglivo / dei miei ginocchi segnati”. La Natura è fonte di gioia: “Gioia di cantare come te, torrente; / gioia di ridere / sentendo nella bocca i denti / bianchi come il tuo greto; / gioia d’essere nata / soltanto in un mattino di sole / tra le viole / di un pascolo; / d’aver scordato la notte / ed il morso dei ghiacci”.
In quest’anima appassionata e fragile la natura rappresenta un vero e proprio rifugio interiore. E diventa metafora di tormenti vissuti nel profondo del suo cuore.
Ninfee
Anch’io non ho radici
che leghino la mia
vita – alla terra –
anch’io cresco dal fondo
di un lago – colmo
di pianto.
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