Il Ministero dell’Ambiente ha reso noto il Piano Lupo 2019, come promesso dal ministro Sergio Costa a tutte le componenti che, a vario titolo, sono portatrici di interessi nella delicata questione della gestione del grande carnivoro. Forse per la prima volta da decenni il piano traccia un’analisi, spesso impietosa, di quello che è stato fatto e di quel che resta da fare, anche a causa della costante mancata applicazione delle normative che già esistono, come ad esempio in materia di contenimento e prevenzione del randagismo canino. La seconda novità di grande rilievo, certamente prima per importanza, è che nella gestione del lupo non è previsto l’utilizzo di abbattimenti selettivi, impedendo alla componente venatoria di diventare lo strumento “esecutivo” di contenimento dei lupi. Dopo decenni nei quali solo il fucile veniva utilizzato nella gestione delle popolazioni delle molte specie giudicate in esubero, come i cinghiali. Anni di insuccessi che hanno dimostrato, dati alla mano, quanto questo tipo di attività sia stata priva di risultati apprezzabili, se non addirittura causa di incremento demografico delle specie che si sarebbero volute contenere. Eliminando interessi corporativi, che spesso riverberano anche sul consenso elettorale, la gestione faunistica potrebbe aprirsi a metodiche più realistiche e soprattutto più utili per l’ottenimento di una pacifica convivenza ma anche di una miglior conservazione del capitale naturale. Nel piano ministeriale sono indicate con molta precisione le questioni che rendono difficile il rapporto con il lupo, affrontandole però da un’angolazione completamente diversa dai soliti stereotipi ai quali siamo stati abituati. Quelli che raccontano che i lupi siano pericolosi perché predano il bestiame, si avvicinano agli insediamenti umani e potrebbero anche aggredire le persone.
Da problema a risorsa
Il lupo viene finalmente identificato come una risorsa e non come un problema, come un regolatore naturale delle popolazioni di ungulati, come cardine su cui ruota il corretto mantenimento degli equilibri naturali, ma anche quale volano di attività economiche che possano attrarre turismo, anche in zone fino ad ora marginali del paese. Con questa lettura i problemi diventano altri che vanno affrontati in modo globale, coordinato e non episodico; vanno pensate strategie di medio periodo che possano affrontare la questione a tutto tondo. Il Piano Lupo prevede ben 22 azioni differenti da mettere in atto per ottimizzare la convivenza fra uomini e lupi, grazie a una sinergia che dispiegherà i suoi effetti in un quinquennio nella quale la mitigazione dei conflitti viene vista come la via maestra da intraprendere.
Da sempre due sono le categorie maggiormente ostili nei confronti del lupo: gli allevatori e i cacciatori. Entrambi vedono il grande carnivoro come un nemico che sottrae loro risorse ed è proprio da questi due mondi che partono costanti attacchi contro la presenza dei lupi.
Con motivazioni spesso pretestuose, come il Piano Lupo evidenzia, perché il problema non sono i lupi ma una cattiva gestione delle attività umane e una visione che, da sempre, identifica tutti i predatori come animali in perenne competizione con l’uomo per le risorse. Una visione che ha portato agli inizi del secolo scorso moltissime specie sull’orlo dell’estinzione: lupi, orsi, aquile, avvoltoi, gatti selvatici.
Prevenire i conflitti
Attualmente uno dei principali motivi di conflitto con il mondo agricolo sono le predazioni che i lupi metterebbero in atto nei confronti del bestiame allevato allo stato semibrado. Attacchi agli animali e in particolare agli ovini che, però, non sempre sono opera dei lupi e che spesso sono causati da cattive pratiche messe in atto dagli allevatori. Gli attacchi agli animali allevati al pascolo sono la conseguenza di una modalità di gestione incompatibile delle aziende agricole con la presenza dei lupi, forse anche a causa di diversi decenni di assenza nei territori interessati dei predatori. Per questo nello studio è stata individuata come necessità prioritaria quella di incentivare l’uso di idonee misure di prevenzione e di difesa, volte a contrastare le predazioni occasionali compiute effettivamente dai lupi. Fra le misure di protezione individuate nello studio ci sono i cani da guardiania, i recinti elettrici e l’uso dei ricoveri notturni per gli animali, senza dimenticare la necessità della presenza di persone che possano vigilare sui greggi o sulle mandrie, come peraltro dovrebbe sempre essere. Dovendo scegliere fra allevamenti adeguatamente protetti e ungulati selvatici il lupo ha sempre dimostrato di privilegiare questi ultimi: l’attacco alle greggi è una strategia predatoria attuata quando il dispendio di energie e il pericolo da correre sia inferiore a quello di cacciare un selvatico. Gli studi fatti sulle popolazioni di ungulati nel nostro paese, inoltre, hanno dimostrato come, ad eccezione di pochissime aree, la densità delle prede dei lupi sia più che sufficiente per soddisfare le esigenze dei branchi, senza compromettere l’equilibrio naturale.
Cosa minaccia i lupi
Un’altra problematica affrontata è quella relativa alla mortalità antropogenica dei lupi, quella causata volontariamente o meno dalle attività umane. Sono state prese in esame sia le uccisioni accidentali, come l’impatto con gli autoveicoli, che quelle volute come avvelenamenti ed episodi di bracconaggio. Per questi ultimi il ministero ritiene indispensabile rivedere la normativa sulle modalità di commercializzazione di veleni e prodotti tossici, impiegati per la preparazione di esche e bocconi avvelenati. Viene inoltre prevista l’adozione di misure conseguenti allo spargimento di bocconi avvelenati, quali la sospensione dell’attività venatoria, della raccolta dei tartufi e dello svolgimento di attività cinofile, oltre a misure accessorie e alla richiesta di modifiche normative che portino all’inasprimento delle pene per gli autori di questi gesti irresponsabili.
Finisce nel Piano Lupo anche la gestione e la prevenzione del randagismo che secondo il ministero non è stata attuata in misura efficace, contribuendo sia all’ibridazione dei lupi, sia alle indesiderate predazioni messe in atto dai cani. Dovrà essere efficacemente contrastato anche il vagantismo canino, quello costituito da cani di proprietà non sterilizzati e liberi di vagare senza controllo sul territorio, che rappresenta uno dei primi serbatoi del randagismo nonché una causa dell’ibridazione fra cani e lupi. Fra i provvedimenti da adottare anche il divieto di allevamento e detenzione delle cosiddette razze ibridogenetiche, come il lupo cecoslovacco o il cane lupo di Saarloos, che possono più facilmente ibridarsi con i lupi o essere autori di predazione di animali da reddito. Queste razze sono recenti incroci fra cani e lupi e sono già state vietate in molti altri Stati. Questi cani sono inoltre spesso confusi dalle persone con lupi selvatici, ingenerando inutile apprensione, specie quando lasciati liberi in zone fortemente antropizzate oppure sfuggiti alla custodia dei proprietari.
L’attesa delle associazioni ambientaliste e di tutela degli animali è che da ora, considerando che il piano prevede una gestione faunistica molto diversa da quella abituale, si avvii un periodo nuovo, senza perpetuare la politica degli inutili abbattimenti a ogni costo. Resta da vedere se l’attuazione del Piano Lupo, fortemente voluto dal ministro Sergio Costa, non troverà ostacoli sulla sua strada da parte degli alleati di governo, da sempre molto attenti agli umori di agricoltori e cacciatori.
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