Nonostante i bandi e i divieti le pinne di squalo continuano a venire smerciate in maniera illegale e la responsabilità di questa tratta è anche delle compagnie di trasporto che, spesso, ricorrono a dichiarazioni ed etichettature false pur di commerciare il prodotto.
È questa la denuncia di Sea Shepherd, che si scaglia contro un fenomeno ancora in larga parte diffuso, soprattutto in Oriente.
L’investigazione del gruppo ambientalista è durata tre mesi. Monitorando gli accessi al porto di Hong Kong è emerso che molto trasportatori, per eludere i controlli, ricorrono a false dichiarazioni e false etichettature attraverso le quali le pinne di squalo vengo nascoste sotto categorie generiche quali “prodotti ittici”, “prodotti ittici essiccati”, “merci essiccate” o “prodotti marini essiccati”, il tutto per evitare che siano scoperte.
Sea Shepherd ha anche notato che, tra i prodotti commercializzati, ci sono anche pinne di specie a rischio, come quelle dello squalo martello e dello squalo longimano.
Dalle indagini è emerso anche che il 92% delle pinne di squalo entra ad Hong Kong tramite trasporto marittimo, mentre la restante percentuale raggiunge lo stato asiatico per via aerea.
Uniti per salvare gli squali
Per fermare il traffico, dunque, è necessario un impegno congiunto di dogane e trasportatori, in modo da rendere sempre più difficile aggirare i controlli.
Alcune compagnie di trasporto hanno già messo al bando questo tipo di commercio. È il caso della Cathay Pacific, vettore aereo che ha sede proprio ad Hong Kong e che, nel 2010, è stata la prima compagnia aerea ad attuare una messa al bando dei prodotti di squalo non sostenibili, incluse le pinne. Anche la compagnia Virgin Atlantic si è schierata a difesa degli squali, con un bando totale sul trasporto di pinne.
Un altro esempio virtuoso è rappresentato da Maersk Line, uno dei più grandi gruppi di trasporti al mondo, che già nel 2010 si era schierata a difesa degli squali.
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