Un titolo un po’ forte, lo ammetto, ma in realtà non ho fatto altro che ribaltare il titolo del servizio mandato in onda nella puntata del 16/02 della trasmissione Le Iene. In questo modo forse sarà più facile capire di cosa stiamo parlando.
Il servizio in questione si chiama “Quando il lupo diventa una minaccia” e tocca il delicato argomento della convivenza fra uomo e lupo, in particolare nell’entroterra emiliano.
Un argomento complesso e già motivo di enormi tensioni fra allevatori, cacciatori e mondo scientifico; tensioni che non avevano affatto bisogno del contributo qualunquista di un servizio basato quasi esclusivamente su interviste e congetture del tipo più teorico e supponente possibile.
Il concetto predominante del filmato è il “se”: se mi attacca, se si avvicinasse a te, vivendo qui ti viene la paranoia che da un momento all’altro ti possano attaccare e altre cose simili (il fondo viene ampiamente esplorato quando la Iena Ruggeri, allarmata, interrompe l’intervista perché nota un sospetto lupo in lontananza… poi era “Billy” il cane nero del vicino).
Insomma, senza lasciarsi tentare dal desiderio di fare ironia sulle inesattezze del servizio, resta il fatto gravissimo di un’informazione supportata da zero dati.
Quando si parla di argomenti complessi, dietro ai quali ci sono intere comunità scientifiche impegnate da decenni, è corretto impostare un servizio solo sul sentimento popolare? Sembra una domanda retorica, ma evidentemente non lo è per tutti.
Non sono ancora passati due anni dal ben più grave scivolone del caso Stamina, che Le Iene tornano ad affrontare un argomento scientifico in modo sbadatamente sentimentale.
Ora, lungi da me il voler eliminare il sentimento, di cui peraltro la scienza si nutre ampiamente, ma dalla bocca della Iena non esce un solo dato scientifico.
Ad esempio, l’unico riferimento che si fa alla storia del lupo in Italia è quello del signore intervistato nel primo minuto, che dice che i genitori nati nel 1887 non gli hanno mai parlato di lupi. Dunque si lascia intendere (senza dirlo esplicitamente) che il lupo non sia sempre stato parte della fauna italiana.
Il detto non detto, il fatto di intervistare allevatori e cacciatori senza fare nessun riferimento alle produzioni scientifiche non fa altro che creare ancora più confusione di quella che c’è già. E non è certo lo spazio concesso a una studiosa di lupo, nemmeno identificata da una scritta, che può lavar via il sapore totalmente popolare del servizio (e nemmeno l’indignazione di fronte ai metodi di bracconaggio).
In un momento come questo, in cui la tensione fra gli interessati è a livelli altissimi, la confusione è l’ultima cosa che serve.
Quello che probabilmente sfugge alle Iene è che quando si parla di argomenti scientifici l’opinione, che comunque rimane legittima, assume un ruolo diverso rispetto ai dati.
Così se l’allevatore giustamente è preoccupato per le sue pecore e si dice che ci sono 4 attacchi a settimana, non si può parlare di paura per gli attacchi ai bambini senza nemmeno un accenno alla storia degli attacchi all’uomo (e sfortuna vuole che sia stato pubblicato uno studio approfondito sull’argomento appena due settimane fa).
Credo che una delle peggiori minacce per la gestione civile di situazioni come questa sia la reazione netta fra chi sostiene una causa e chi la contrasta e Le Iene hanno di nuovo compiuto l’errore di allargare la crepa fra due fazioni, i pro-lupo e i contro-lupo (come i pro-Stamina e i contro-Stamina).
È senza dubbio una bella responsabilità.
Non siamo qui a difendere il lupo, ma a difendere l’informazione.
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