Un caso studio veramente illuminante sugli equilibri etologici dei grandi predatori riguarda i lupi americani nel parco di Yellowstone, i quali sono stati cacciati fino all’estinzione negli Anni Trenta del secolo scorso.
Un piccolo numero di questi carnivori venne tuttavia reintrodotto negli Anni Novanta e il suo impatto all’interno dell’area protetta si è fatto presto sentire, producendo effetti a cascata su molte popolazioni animali e non solo sulle prede. I lupi hanno cominciato subito ad attaccare i cervi canadesi, i wapiti, i grandi erbivori più diffusi. Dove i lupi hanno iniziato a cacciare intensamente la vegetazione naturale, che era stata in parte compromessa dall’eccessiva densità di erbivori, ha ripreso lentamente terreno.
Il rinnovamento di una parte del manto forestale ha richiamato di conseguenza un maggior numero di uccelli e in breve sono aumentati anche i castori, che utilizzano proprio i rami dei giovani alberi – adesso più abbondanti – per costruire le dighe nei fiumi, creando a loro volta un ambiente ideale per lontre, ratti muschiati, pesci e anatre… Anche i coyote, cugini dei lupi, che prima dell’introduzione erano abbastanza numerosi, hanno ridotto il loro numero favorendo di conseguenza un aumento dei piccoli roditori, che a loro volta hanno richiamato una maggiore diversità di carnivori.
Sorprendentemente, nelle aree interessate dall’azione dei lupi anche i fiumi hanno cominciato lentamente a cambiare. Con il consolidarsi della vegetazione locale, le sponde dei corsi d’acqua si sono rinforzate, i canali sono diventati più stretti e più profondi, cambiando parzialmente la loro morfologia.
Nessuno avrebbe previsto interazioni di questa portata, in quello che è stato un esperimento su larga scala. Il fatto che l’area di studio si trovasse negli Stati Uniti, in una zona ben conosciuta, ha semplificato la raccolta di informazioni, ma un numero crescente di indizi sembra indicare che molti ecosistemi siano fortemente “controllati” dall’alto, cioè dalla presenza di quei pochi superpredatori.
Nonostante i numeri esigui questi animali esercitano un’azione benefica su più livelli: non eliminano soltanto gli individui malati, più deboli o con difetti, contribuendo al miglioramento generale della salute della popolazione delle prede, ma spesso rendono quest’ultime più sospettose, costringendole a spostarsi, riducendo così l’impatto che gli erbivori hanno sulla vegetazione.
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