È parente di oritteropi, elefanti e lamantini, ma è grande solo pochi centimetri. È dal 1968 nella lista delle 25 “specie perdute” del Global Wildlife Conservation, diventando uno degli ultimi grandi misteri tra i mammiferi africani. Si nutre di insetti che cattura con il suo lungo naso.
Si tratta del macroscelide somalo o sengi somalo (Elephantulus revoili). La rivista PeerJ ha pubblicato un articolo che annuncia la riscoperta del minuscolo mammifero a Gibuti, nel Corno d’Africa.
In realtà, il sengi somalo “perduto” per la scienza, non lo era per gli abitanti di Gibuti. I ricercatori, infatti, hanno mostrato delle foto di esemplari conservati nei musei naturalisti alle persone del posto, che lo hanno subito riconosciuto.
Con l’aiuto degli abitanti, i ricercatori hanno piazzato delle trappole fotografiche, usando come esca burro di arachidi, tra le pietre dove il sengi somalo si rifugia per difendersi da predatori.
In totale il team ha osservato 12 sengi durante la spedizione e ha ottenuto le prime foto e il primo video per la documentazione scientifica. I ricercatori non hanno rilevato alcuna minaccia incombente per l’habitat della specie, che è arido e in gran parte inospitale per le attività umane, e hanno quindi indicato all’IUCN di aggiornare la Lista Rossa delle Specie Minacciate per classificare il sengi somalo a un livello di rischio meno preoccupante.
Kelsey Neam, Coordinatore delle valutazioni sulla biodiversità del Global Wildlife Conservation ha spiegato che «La raccolta dei dati e la ricerca sono fondamentali per affrontare il problema della carenza di dati nella Lista Rossa dell’IUCN, che è il nostro barometro dello stato della biodiversità del nostro Pianeta. Scoprire che il sengi somalo esiste in Natura è il primo passo per la sua conservazione. Ora che sappiamo che sopravvive, gli scienziati e gli ambientalisti saranno in grado di garantire che non scompaia mai più».
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