In mezzo ai monti
mi stava vicino un cervo
molto socievole
facendomi capire quanto io
fossi distante dal mondo.
Dopo aver vissuto una virtuosa carriera di samurai, Saigyō (nato col nome di Satō Norikiyo) decide di indossare la tunica di monaco buddista e ricerca la verità dell’esistenza, anche peregrinando per le foreste, prendendo poi il nome buddista di Saigyō.
Molti grandi uomini presero una svolta durante la loro vita e riuscirono a trovare il senso dell’esistenza, un motivo per vivere in questo grande mistero che è l’universo, circondato di bellezze e sofferenza. Potremmo citare molti uomini veri e letterari, dallo stesso Siddharta Gautama a Paolo di Tarso, dall’Innominato di Manzoni a Jean Valjean di Hugo; tutti accomunati dal desiderio di cambiare la propria vita. In questa società così labirintica e ricoperta di cemento, essi sono fari che illuminano, boe che offrono un ristoro alla fatica per poter poi ricominciare il viaggio.
Saigyō prese dunque una decisione radicale, ma non certo unica. L’unica forse per lui stesso, l’unico modo per poter salvare qualcosa che dentro di sé continuava a gridare, per cercare soccorso.
Soffocato forse dal successo, da una disciplina di protocollo, prese la via della foresta; una via battuta da molti eppure con spazio per tutti. La via della Natura, degli spazi incontaminati, dei contatti originari, ancestrali che risvegliano in noi qualcosa di sopito. Quella foresta che ognuno di noi, forse, deve prima o poi attraversare, come la selva oscura per Dante.
La Natura ci accoglie, sa che dobbiamo perderci per ritrovarci.
Durante i giorni vissuti tra i monti, Saigyō ci scrive, in un lucido haiku, che un socievole cervo viveva vicino a lui: la rivelazione fu istantanea, lampante. L’incontro con il cervo ricorda al monaco buddhista quanto fosse distante dal mondo.
Se soffermassimo la nostra attenzione su questa intuizione, potremmo forse avere due diversi pensieri da portare nella sacca da viaggio, per percorrere il nostro cammino.
Primo punto: un luogo lontano dal mondo
Il cervo fa capire a Saigyō che in quel momento lui si trova davvero lontano dalla cosiddetta civiltà, dalla sicurezza tanto declamata dalle città, ma anche dalla fretta dei passanti, da sguardi indiscreti, dal rumore che sempre supera il silenzio. Quasi sempre, finché la nostra anima reclama spazi di silenzio e ci spinge oltre al frastuono. La strada del poeta dunque è giusta, perché la distanza dalla frenesia degli uomini, che cercano tutto ciò che è vano, spesso salva.
Secondo punto: quanto siamo lontani dal vero mondo
Andando ancora di più in metafora, il cervo potrebbe anche far capire al monaco che fino a quel momento lui si trovava lontano da quello che è il vero mondo. Un mondo forse primitivo, senza tecnologie, senza il progresso, ma vero, genuino, ricco di valori spirituali per chi cerca un senso alla vita.
In ogni caso, l’incontro con il nobile animale ha fatto scattare qualcosa di molto importante nel cuore del poeta, qualcosa che ridona la vista all’uomo disorientato; una consapevolezza edificante, che possa illuminare su noi stessi. Non è una fuga dalle responsabilità, dagli impegni o dalle fatiche. Semmai è una modalità (certamente non condivisa dalla nostra società del benessere pigro ed economo) per poter ritornare forse nel mondo con freschezza, pronti, rigenerati e testimoni di esperienza importanti e meravigliose.
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