“Benvenuti nell’Antropocene” con questo titolo Paul Jozef Crutzen, Premio Nobel per la Chimica nel 1995, introduceva nel suo libro il termine già coniato dal biologo Eugene Filmore Stoermer negli anni ’80 ed inizialmente riferito in maniera piuttosto generica all’impatto delle attività umane sul nostro Pianeta. Da almeno un decennio la comunità scientifica si è interrogata sulla possibilità che in realtà gli impatti antropici abbiano veramente lasciato il segno, geologicamente parlando, influenzando dinamiche e processi di tutti gli ecosistemi terrestri in maniera transitoria o permanente. Con queste premesse è stato creato un Gruppo di Lavoro sull’Antropocene (Anthropocene Working Group, AWG) all’interno della Sottocommissione Internazionale di Stratigrafia del Quaternario (Subcommission on Quaternary Stratigraphy), a sua volta parte della Commissione Stratigrafica Internazionale (International Commission on Stratigraphy) che fa capo all’Unione Internazionale delle Scienze Geologiche (International Union of Geological Science). Il Gruppo sta esaminando la possibilità di riconoscere l’Antropocene come effettiva unità di tempo geologica, da aggiungere dunque alla scala ufficiale del Tempo Geologico.
La fine dell’Olocene
Oggi l’Antropocene non è ancora ufficialmente riconosciuto come unità geologica vera e propria, infatti viviamo ancora nella cosiddetta Età Megalaiana, iniziata circa 4.200 anni fa con il collasso di alcune antiche civiltà per ragioni climatiche, che è a sua volta racchiusa nell’epoca Olocenica. L’eventuale riconoscimento del passaggio all’epoca Antropocenica, non solo segnerebbe la fine dell’Età in cui viviamo ma porrebbe fine anche all’Olocene: un momento “storico”, almeno da un punto di vista geologico. Tuttavia, per prima cosa, l’identificazione dell’Antropocene come nuova epoca geologica deve essere giustificata scientificamente, ovvero deve esserci un marker stratigrafico che permetta di riconoscere in maniera distintiva l’unità cronostratigrafica. In questo senso gli scienziati concordano nel riconoscere la presenza, a livello globale, di un orizzonte geologico ricco di radionuclidi artificiali legato al fallout dei test termonucleari avvenuti a cavallo tra gli anni ’40 e ’50. In secondo luogo, l’utilità del termine deve essere accettata ufficialmente dalla comunità scientifica, cosa che in realtà si è già osservata in maniera informale, visto che il termine è stato largamente utilizzato non solo dal mondo scientifico ma anche e soprattutto dai media e dal grande pubblico.
I prossimi passi verso una nuova epoca
Qualche giorno fa dunque il Gruppo di Lavoro si è riunito per votare la proposta di ufficializzazione del passaggio dall’Olocene all’Antropocene: 29 membri del Gruppo su 34 hanno votato favorevolmente, quindi si attende adesso l’invio ufficiale della proposta alla Commissione Stratigrafica Internazionale che entro il 2021 dovrebbe decidere se aggiornare o meno la scala ufficiale cronostratigrafica. Il voto conferma sostanzialmente un’altra votazione informale che ha avuto luogo presso il Congresso Geologico Internazionale di Cape Town nel 2016, ma è servito a stimolare la ricerca di un marker geologico che descriva il passaggio ufficiale da un’epoca geologica ad un’altra. A proposito di ciò il Gruppo sta considerando dieci siti candidati ad ospitare le cosiddette “Sezioni e Punti Stratigrafici Globali” (Global Stratigraphic Section and Point, GSSP), ovvero quegli affioramenti “chiave” in cui è fisicamente riconoscibile il passaggio tra unità cronostratigrafiche differenti e dunque tra Olocene ed Antropocene. Tra questi vi sono i coralli della Grande Barriera Corallina, un lago cinese ed una cava nel nord dell’Italia. Grande attesa dunque nel mondo scientifico per la redazione della proposta formale che passerà al vaglio della Commissione Stratigrafica Internazionale e poi appuntamento al 2021 con il parere definitivo del gotha della stratigrafia mondiale che ci dirà se effettivamente siamo entrati in una nuova epoca geologica e soprattutto se abbiamo lasciato un segno indelebile nella geologia della nostra fragile casa nell’Universo.
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